UFFICIO NAZIONALE PER L'EDUCAZIONE, LA SCUOLA E L'UNIVERSITÀ
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

«Il Nord visto da Sud». La missione è a scuola

Il Centro missionario diocesano di Modena: «L’esperienza interpersonale aiuta a rompere etichette e stereotipi»
11 Luglio 2023

La scuola: terreno difficile e al centro della cronaca degli ultimi mesi. Nell’universo dei media e delle opinioni, la si associa spesso alle parole crisi ed emergenza. Questo la rende terra fertile per l’azione pastorale, terra di missione. A confermarlo è l’impegno del Centro missionario diocesano, che lo scorso anno accademico ha incontrato 175 classi, due volte ciascuna, equivalenti a oltre 3mila studenti.

Il divario tra nord e sud del mondo e le disuguaglianze sono alcuni dei temi affrontati. Ne parlano le animatrici dell’Ufficio pastorale. «Potremmo riassumere questi mesi di impegno con l’immagine del gomitolo, oggetto che viene spesso usato nelle attività con i ragazzi – racconta Francesca Giroli –. Ci si mette in cerchio e chi ha il gomitolo deve passarlo a un suo compagno, creando così un intreccio». «L’intreccio che si viene a creare raffigura poi l’impatto delle nostre azioni nella vita degli altri» aggiunge. Il gioco serve a cambiare la disposizione dell’aula, rompendo così lo schema dell’abituale lezione frontale. «È la relazione interpersonale che suscita interessi nei ragazzi che incontriamo» sottolinea Giroli.

«L’iniziativa si è estesa negli anni, anche grazie al contributo dei servizio civilisti, trattando sempre più tematiche – spiega –: si va dall’importanza dell’acqua all’analisi del rapporto tra media e migrazioni». «Nei percorsi laboratoriali emerge sempre l’interrelazione tra ecosistemi, stili di vita, modelli di sviluppo e fragilità» racconta Giroli riferendosi a percorsi nati dall’esperienza concreta dei proponenti. «È il caso del laboratorio su media e immigrazione, che nasce nel 2018, dopo un viaggio a Lampedusa». «Lì abbiamo incontrato una realtà diversa da quella meramente emergenziale raccontata dai media, tra cui attività sociali e commerciali che facilitano l’integrazione delle persone migranti» commenta l’animatrice. «Emerge così il problema di una cronaca senza contesto, che restituisce frammenti di una realtà ben più ampia e complessa» sottolinea. Per far fronte a questa sfida, il Centro missionario lavora costantemente per entrare in contatto con la realtà: «L’esperienza interpersonale ci aiuta a conoscere la realtà, entrando nella storia di ciascuno. Questo il modo migliore di rompere etichette e stereotipi».

L’incontro con gli studenti ha diverse fasi. Spetta all’animatore il compito di gestire lo scetticismo iniziale, di far domande che stimolino il confronto. «Con il passare del tempo, i ragazzi elencano molte azioni quotidiane e in grado di promuovere cambiamenti concreti, di stili di vita» prosegue. «Una prassi consolidata durante i laboratori è lo scambio di oggetti, esperienze. È il frutto di un’interconnessione di vissuti» afferma Giroli. «Vissuti che nascono da uno stile missionario, dalla possibilità di avere qualcuno che ti aspetti quando arrivi da qualche parte: c’è gente che, dall’altra parte del mondo, rinuncia alle sue ferie per accogliere i ragazzi che vanno a fare un’esperienza missionaria». Tale vissuto può essere trasmesso soltanto attraverso testimonianze, oggetti, immagini.

«È la testimonianza diretta ad attivare l’entusiasmo degli studenti». «Anche dopo la conclusione dei laboratori si sono consolidate delle relazioni autentiche, con alcuni ragazzi che hanno mostrato interesse alle proposte del Centro missionario. Sono alcuni dei segnali di un’esperienza positiva» conclude.

Osservare il mondo da altre prospettive 

«Il nostro lavoro si concentra sull’immaginario degli studenti. Il cammino parte dall’invito a metterci in gioco ed entrare a contatto con la realtà». Lo ha detto Gloria Guerra, animatrice del Centro missionario diocesano, riguardo i percorsi laboratoriali realizzati dall’Ufficio pastorale nelle Scuole del territorio.

«Non siamo degli esperti: è la prima cosa che diciamo durante i laboratori» afferma Guerra. «Il protagonismo ce l’hanno i ragazzi: è importante raccogliere le loro voci, gli stimoli che nascono strada facendo». Secondo Guerra: «I ragazzi iniziano spesso dicendo: “io non posso farci niente”. Poi, una volta che ci si confronta sull’universo di possibilità che ciascuno di noi ha, a partire dalle piccole azioni, si entra in un’ottica propositiva e di scambio di idee». «Ad esempio – prosegue – adottare un approccio critico riguardo i prodotti che consumiamo». In questa transizione sono i ragazzi i maggiori alleati».

«Abbiamo incontrato tutte le scuole superiori, tranne Fermi e Barozzi, passando dai Licei agli Istituti tecnici professionali. Pur avendo una struttura di laboratorio, evitiamo di irrigidirci» aggiunge. «Ai ragazzi fa piacere intervenire, contribuire e dire la loro. Più di quanto non si pensi» commenta. «Certamente non è possibile fare un discorso generico: ogni scuola è un mondo a parte e ogni volta che incontriamo gli studenti abbiamo a che fare con una situazione diversa». Per l’educatrice: «la chiave del percorso sono gli esempi concreti, in modo che i ragazzi non si sentano abbandonati». Nelle scuole, la ricettività è sempre stata ampia: «c’è una progressiva apertura da parte dei ragazzi, man mano che i temi diventano famigliari per loro». «Non abbiamo la pretesa di impartire alcuna verità, ma di raccontare il Sud del mondo mettendo a fuoco anche la sua ricchezza, accoglienza e ospitalità» aggiunge. «Nel posto in cui andiamo raccontiamo un’esperienza. Poi le domande sugli argomenti trattati rimangono latenti per anni nell’immaginario degli studenti incontrati». «I docenti, infine, si sono mostrati attenti e dialoganti in tutte le fasi dell’anno» conclude Guerra.

Estefano Tamburrini

Il Nostro Tempo, 9 luglio 2023