UFFICIO NAZIONALE PER L'EDUCAZIONE, LA SCUOLA E L'UNIVERSITÀ
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

A Bologna tutte le vie portano all’inclusione

Matematica, scacchi e Dad. L’impegno del personale educativo
6 Maggio 2022

L’Emilia-Romagna si conferma la regione che accoglie più profughi ucraini e a Bologna si moltiplicano le iniziative per i bambini scappati dalla guerra, ma la vera integrazione dei più piccoli passa principalmente dalla scuola. Filomena Massaro, dirigente dell’Istituto comprensivo 12, una delle cinque scuole-polo per l’accoglienza in città, traccia un bilancio di questo primo mese dall’arrivo dei piccoli ucraini. «Bisogna dire, anzitutto, che siamo già abituati ad avere alunni non italofoni: sono circa 300 su 1.300», esordisce. Questa esperienza si è consolidata ora con i sei bimbi accolti tra elementari e medie.

«Appena arrivati, abbiamo proposto loro di incontrarsi a scuola un paio di volte a settimana, per alcune ore, perché potessero socializzare tra loro, mentre imparavano i primi rudimenti di italiano. Poi, quando sono stati inseriti nelle classi, in base all’età, abbiamo mantenuto questo momento di condivisione, perché è importante che possano avere dei pari in cui riconoscersi», spiega Massaro, che racconta di come questi bimbi si siano molto aperti nel narrare la propria esperienza di fuga dalla guerra, con l’aiuto della mediatrice linguistica. «Uno di loro ci ha spiegato di come, una sera, la mamma gli ha comunicato che il giorno dopo non sarebbe andato a scuola, perché sarebbero partiti per un lungo viaggio. Ci ha detto di essere stato contento, all’inizio, con l’ingenuità dei suoi 9 anni. Poi, durante il tragitto, ha capito che era preferibile la scuola. Ci ha fatto molta tenerezza», osserva la dirigente. Che conferma anche una particolare attitudine dei piccoli ucraini per la matematica e l’apprendimento delle lingue.

«Nel loro Paese la scolarizzazione non inizia a sei anni, ma in una forbice flessibile tra i cinque anni e mezzo e i sette, in base alle competenze acquisite dal singolo. Così, capita che alcuni di questi siano più avanti dei nostri con il programma delle materie scientifiche», osserva. Per lo più, sembrano sereni, ma, ad esempio, «uno di loro si rifiuta categoricamente di disegnare: probabilmente teme di far emergere le sue emozioni». I più grandicelli continuano a seguire la Dad, con i propri insegnanti e compagni ucraini. «Credo sia utile per chi, magari, pensa di rientrare in patria a breve. Molti lo sperano», spiega Massaro. Alcune mamme di questi ragazzi erano già in Italia per lavoro, diversi si sono ricongiunti alle nonne: quasi tutte lavorano come badanti e, dunque, hanno fretta di inserire i figli a scuola, perché non sanno a chi lasciarli. Ci sono anche bambini più piccoli: Carlotta, educatrice professionale, segue l’inserimento di una piccola ucraina alla scuola dell’infanzia. La bimba si è integrata molto bene. «È sempre sorridente, disegna benissimo e ciò la aiuta molto ad esprimersi. Tra l’altro a scuola c’è una bimba poco più grande di origine ucraina, in Italia da più tempo, che ha preso a cuore il suo ruolo di 'mediatrice' verso la compagna» racconta.

Anche altri contesti educativi concorrono all’integrazione dei profughi: ne è un esempio il Circolo Scacchistico Bolognese, che ha deciso di offrire l’iscrizione gratuita ai bimbi che scappano dalla guerra. Nel loro Paese, come in Russia, gli scacchi sono molto amati e praticati. «Abbiamo offerto questa possibilità alle famiglie che li accolgono » spiega il presidente, Giulio Calavalle, «perché gli scacchi e lo sport in generale avvicinano le persone, insegnano il rispetto e la lealtà: il motto della federazione scacchistica è 'gens una sumus', 'siamo una sola famiglia', e noi cerchiamo di applicarlo».

Chiara Pazzaglia

Avvenire, 5 maggio 2022