UFFICIO NAZIONALE PER L'EDUCAZIONE, LA SCUOLA E L'UNIVERSITÀ
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Spazi, tempi, relazioni. Tornare all’essenziale

La scuola travolta dalla pandemia è diventata terreno di piccole grandi fioriture
15 Giugno 2021

Che cosa ci sta insegnando questo tempo di pandemia? La fatica che stiamo vivendo dal lockdown a queste timide riaperture ci sta lasciando qualcosa? Il complesso ripensamento che ha sfidato le nostre scuole dai tempi della scuola a distanza a quelli della scuola organizzata secondo le 'bolle epidemiologiche' sarà solo una parentesi che ricorderemo come un duro momento o ci sta anche risvegliando alla riscoperta di qualcosa di importante? Con queste domande educatrici e insegnanti si sono poste in ascolto dell’intervento autorevole di Luigina Mortari, la quale ci ha accompagnato nel ripensare a questa emergenza che stiamo vivendo non solo come un momento tristemente eccezionale, dove tutto salta in una parentesi che presto verrà chiusa per tornare alla normalità, ma come un momento in cui emergono le cose importanti dell’esistere; un momento nel quale vengono al pettine anche le contraddizioni di questa nostra contemporaneità. Anche le contraddizioni del nostro fare scuola, insieme a quegli elementi fondamentali che non dobbiamo dimenticare di mettere al centro del nostro agire; sempre e comunque.

Anche nella scuola dell’infanzia «spesso sono state messe al centro le tecnicalità, trasmettendo una visione della vita di tipo neoliberista, anche senza che ce ne accorgessimo». Allo stesso tempo «spesso anche la formazione degli educatori e degli insegnanti è stata schiacciata solo sulle competenze, un concetto che non è male in sé, ma che letto dentro il contesto del neoliberismo ne dà un’accezione contabile». Di tipo contabile sono le competenze che servono per ottenere qualcosa, che privilegiano la logica del calcolo sulla logica del dono, la logica dell’utile su quella del bello, la logica dell’immediato rispetto a quella dei tempi distesi e lunghi come il fiorire della vita richiede. Irretiti nelle spire del produttivismo anche a scuola «ci si dimentica di ciò che è essenziale e si dà valore a ciò che è non solo secondario, ma inessenziale». Questi tempi di pandemia ci hanno portato a rimettere al centro ciò che è essenziale: «e questo centro essenziale è lo stesso dell’educazione. Anche l’educazione deve avere a che fare con la centralità della vita». Noi esseri umani veniamo al mondo incompiuti, con il compito di cercare di far fiorire quei semi di potenzialità che siamo. E il lavoro che fa fiorire la vita è il lavoro della cura. Ed è lo stesso dell’educazione: offrire ciò che nutre la vita e la fa fiorire. È così che il tempo di pandemia ci ha insegnato la «necessità di rimettere al centro la cura».

Proprio i luoghi della cura sono i luoghi istituzionali che sono stati al centro dell’attenzione e della preoccupazione di tutti in questo anno passato: gli ospedali e le scuole. Luoghi che hanno agito in modo contrario a quello che l’ideologia contemporanea li aveva ridotti, «sottoposti a una logica finanziaria, ai vincoli dell’azienda, dove non si dava più importanza a ciò che è essenziale, cioè alla cura». Aver cura infatti è una pratica che va oltre il calcolo, va oltre il misurabile; si traduce in azioni che hanno dietro non un mansionario, ma uno stile, delle posture che danno corpo a una visione della persona che abbiamo di fronte. E, nella scuola, a una visione dell’educazione.

Ma è proprio nella scuola travolta dalla pandemia che spazi, tempi e relazioni sono diventati terreno di piccole grandi fioriture: terreni di cura. Li abbiamo ripensati, non solo cercando di fare di necessità virtù, ma interrogandoci seriamente su cosa è essenziale per fare una scuola buona. Dentro i vincoli, che oggi si chiamano 'norme anti-Covid' e che domani avranno altri nomi. Ma riscoprendo l’essenziale, che è ben visibile agli occhi del cuore, perché si manifesta in gesti concreti, piccoli, ma luminosi. «Sono gesti che ci tengono in una maniera sopportabile nella vita quando tutto sembra crollare, quando il tempo dell’esserci si frantuma». Le nostre scuole, in questo anno difficile, sono state a volte ospedali da campo, a volte luoghi di supporto emotivo per le famiglie o luoghi che hanno ridato normalità; luoghi formativi e luoghi di incontro, reale o virtuale. Ma sempre e comunque luoghi di cura. A questo non vogliamo rinunciare: a uno stile che ci caratterizza e che ci deve identificare. Uno stile che anima spazi, tempi e relazioni. E che si è tradotto in scelte educativo-didattiche concrete. Come dicono le coordinatrici Martina e Daniela, e tante insegnanti con loro «è stato un anno difficile, ma abbiamo operato delle scelte sulle quali non vogliamo tornare indietro, con o senza Covid». Scelte operate e consapevolezze ritrovate: siamo stati e saremo sempre luoghi capaci di cura.

Marco Ubbiali, Componente Commissione tecnica del Settore pedagogico nazionale Fism

Avvenire, 15 giugno 2021

(foto Romano Siciliani)