UFFICIO NAZIONALE PER L'EDUCAZIONE, LA SCUOLA E L'UNIVERSITÀ
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Cacciari: un anno perso da un ragazzo equivale a venti dei miei

Il filosofo: «In Italia non una crisi di ceto politico ma di classe dirigente e dei corpi intermedi»
10 Febbraio 2021

«Si, questa pandemia per i giovani è una catastrofe educativa e sta cambiando la percezione di spazio pubblico. Hanno perso un anno che per loro equivale a perderne 20». Massimo Cacciari, pensatore, accademico ed ex sindaco di Venezia, attualmente docente di Filosofia dell’Università Vita-Salute del San Raffaele non è certo diplomatico né molto ottimista. E parte dai punti salienti del discorso del Papa per proseguire con la denuncia di alcuni nodi che ritiene sollecitati dalle parole di Francesco.

«Il Papa – comincia – ha tenuto un discorso molto sul pezzo riguardi alle questioni emergenti da questa crisi, essenzialmente di carattere culturale e politico. Sono tante le riforme sollecitate dal discorso papale. Ma non ha voluto andare fino in fondo, secondo me. Non vorrei che così anche i responsabili dei disastri gli dessero ragione».

Non condivide il legame tra crisi sanitaria, globale e ambientale?

Certo, le cose non sono affatto slegate e anche i contributi di alcuni economisti, sociologi e politologi richiamano le interconnessioni. Il Papa fa benissimo a fare una chiamata di responsabilità generale in quella sede. Ma mi lasci spingere oltre la denuncia. Sappiamo chi sono i responsabili di questa pandemia. In Cina continuano ad esempio a non tenere sotto controllo il rapporto tra uomo e animale. Così prima abbiamo avuto la Sars, l’aviaria e ora il Covid 19 e poi ne arriverà un’altra. Questo vale anche per altri Paesi in un’ottica sociologica, culturale e politica.

È una pandemia di classe?

Si, negli Usa i poveri sono quattro volte più colpiti degli abbienti e questo la dice lunga su un aspetto che il Papa tocca nel discorso sulla mancata universalità del servizio sanitario in tanti Paesi. Sui vaccini in Italia non si dovrebbe lasciare indietro nessuno pur con le enormi difficoltà della macchina organizzativa. Invece in altri Paesi privi di servizio sanitario universale è da temere che scattino ulteriori disuguaglianze. Quello è il nodo. Il Papa ricorda che i Paesi poveri rischiano di non poterli acquistare. Occorre allora che le organizzazioni internazionali intervengano per assicurare che i vaccini siano garantiti laddove uno Stato non è in grado. I finanziamenti servono a questo, non a tenere in pedi baracconi con decine di migliaia di dipendenti.

Sono in crisi anche la politica e la democrazia. Non è un problema solo italiano.

No. Ma in nessun Paese la Banca centrale per la quarta volta in una generazione di fatto ne assume la guida. È una crisi non di ceto politico, ma di classe dirigente. La crisi dei corpi intermedi. È una democrazia esangue quella che ha governanti e un popolo sovrano che partecipa solo al voto o al peggio alle piattaforme Rousseau. Questo farebbe parte della vocazione di un certo popolarismo italiano, è l’idea federalista di don Sturzo contro un certo statalismo tipico anche della sinistra. È una decadenza complessiva. Ecco, su questo servirebbe che il primate d’Italia per favore dicesse di più. La crisi è globale, ma è meno forte in altri Paesi perché è coperta dall’elemento etico nazionale fondamentale, che li tiene insieme anche nei momenti più drammatici. Guardi la Spagna nonostante la crisi catalana e gli Usa divisi, ma con una identità nazionale. Da noi prevale l’individualismo.

E la pandemia non lo acuisce?

Si e nessuno riflette sulle conseguenze di questa crisi. Ci stiamo abituando a lavorare da casa con computer e a tenere le distanze.

Condivide la definizione di catastrofe educativa da Covid-19?

In toto. Occorre consapevolezza dei rischi che stiamo correndo anche dal punto di vista antropologico. Si sta determinando la fine di ogni spazio pubblico, ci stiamo abituando all’idea che stia diventando, con le relazioni, un pericolo. Un anno è tantissimo soprattutto per un ragazzo, equivale a 20 dei miei.

Paolo Lambruschi

Avvenire, 9 febbraio 2021