UFFICIO NAZIONALE PER L'EDUCAZIONE, LA SCUOLA E L'UNIVERSITÀ
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Scuola paritaria, non chiamatela privilegio

Un viaggio per smontare tanti stereotipi
3 Luglio 2020

Grazie ai docenti, ai presidi ma anche agli studenti e alle loro famiglie non si è mai veramente fermata. È proprio in questi momenti che si vede l’importanza di investire nella scuola, perché rappresenta il futuro del Paese.

Eppure nei decreti governativi sembra che i soldi ci siano per tutti, ma non per una parte di scuole, quelle paritarie. Stiamo parlando di oltre 12.600 istituti soggetti a tutti i controlli della statale e per questo definiti “paritarie”, che per la legge hanno “pari dignità” delle altre. Accolgono circa 866.000 studenti (quasi il 10% del totale), di cui quasi 18.000 disabili, che ricevono in queste scuole un’attenzione molto particolare con grandi risultati per i ragazzi e per i loro genitori, ricevendo dallo Stato 0,55 miliardi di euro di finanziamento pubblico annui (posticipatamente) e una possibilità per le famiglie di detrarre la retta pagata per un massimo di euro 152 euro all’anno, contro un finanziamento annuo accordato alle scuole statali di circa 55 miliardi di euro solo per le spese correnti (senza contare i finanziamenti in conto capitale).

È sempre stato così: i soldi dei contribuenti italiani vengono dati alle scuole statali ma non a quelle paritarie, che si devono accontentare dell’1% del finanziamento dato alle statali perché, come dice qualcuno, sono scuole “private” e, cioè, per i “ricchi”, con il sottinteso che “è giusto che se le paghino le famiglie con i soldi propri”. Lo stereotipo suona così: “Non daremo soldi ai benestanti”. Ne esce un quadro in cui c’è una scuola statale da finanziare in toto (anche e soprattutto in tempo di Covid) e una “privata” che, in quanto “privilegio”, come se fosse una borsa di marca, non deve essere sostenuta. Ciò vale per i muri, per gli insegnanti, per l’aiuto agli studenti (anche quelli più deboli), per i computer eccetera.

Discriminazione e scorrettezza

Queste distinzioni sono non solo discriminatorie ma nemmeno tecnicamente corrette. È un cortocircuito culturale e ideologico che non può continuare: dietro le scuole paritarie c’è un indotto, ci sono famiglie, studenti e tanti docenti, che non possono essere trattati come cittadini di “serie B”, poiché hanno pagato le imposte come tutti gli altri, finanziando anche la scuola statale di cui non usufruiscono.

I genitori delle scuole paritarie sono costretti a pagare la retta perché altrimenti quelle scuole non potrebbero vivere, dato che lo Stato non le finanzia. È giunto il momento di abbandonare gli sterili “ritornelli” del passato perché non appartengono più alla realtà e soprattutto la indeboliscono.

La realtà, infatti, è diversa: la paritaria non è la scuola privata, ma comprende la scuola paritaria non profit - in particolare quelle cattoliche, che sono la maggioranza - e accoglie tutti, anche e soprattutto nelle zone più povere del nostro Paese, dalla scuola dell’infanzia alla scuola secondaria di secondo grado. È lo Stato che impone la retta: le paritarie ne farebbero volentieri a meno, essendo nate per educare e non certo per fare profitti.

Scuola paritaria non significa assolutamente “di qualcuno” e/o “solo per qualcuno” e/o al “di fuori del sistema”, poiché è soggetta a tutti i controlli previsti per le scuole statali; scuola paritaria non significa nemmeno scuola “di una parte” o di “un’altra”, significa solo scuola posta sullo stesso piano di quella statale (paritaria appunto) ma costruita (interamente) e condotta (totalmente o principalmente) con risorse non statali e quindi non derivanti dal gettito tributario, appunto “senza oneri per lo Stato” come dice la nostra Costituzione.

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Marco Grumo

docente di Economia aziendale e coordinatore scientifico di “Cattolicaper il Terzo Settore”. Co-autore del volume “Il diritto di apprendere”, Giappichelli Editore 2015

CattolicaNews, 1 luglio 2020

Primo di una serie di articoli dedicati al sistema delle scuole paritarie in Italia