UFFICIO NAZIONALE PER L'EDUCAZIONE, LA SCUOLA E L'UNIVERSITÀ
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Segnale agli studenti o una forzatura? Voto in condotta, il dibattito è aperto

La decisione dell’esecutivo di bocciare chi prende 5 in comportamento e di rimandare a settembre chi viene valutato con il 6
28 Settembre 2023

Fa discutere la stretta annunciata sul voto in condotta. Lunedì il Consiglio dei ministri ha approvato il provvedimento: in caso di votazione inferiore al 6, è previsto che «il consiglio di classe deliberi la non ammissione alla classe successiva o all’esame di Stato conclusivo del percorso di studi». Per le superiori, in caso di voto pari a 6, «il Consiglio di classe assegnerà allo studente un elaborato critico in materia di cittadinanza attiva e solidale da trattare in sede di colloquio dell’esame di Stato», ricorda il governo. «Analogamente a quanto avviene per il primo ciclo, nel caso di valutazione del comportamento inferiore a sei decimi, il Consiglio di classe dovrà deliberare la non ammissione all’esame di Stato conclusivo del percorso di studi».

Ugolini: Mancare di rispetto è molto più grave che avere un 5 in matematica

La scuola italiana è abituata a cambiamenti repentini, soprattutto all’andata e ritorno dal voto al giudizio e dal giudizio al voto. La sostituzione del voto in decimi con un giudizio sintetico è stata introdotta alle medie nel 2017. Non mi sembra che questo cambiamento abbia migliorato, in questi anni, la consapevolezza da parte degli alunni di quanto sia importante e prezioso il rispetto di sé, degli altri e del luogo in cui vivono.

Spesso si ha l’impressione di giudizi scritti con il “copia e incolla”, con uno schema standardizzato a geometria variabile fatto dalle stesse parole che ritornano. Quanto tempo abbiamo speso in questi anni per chiarire tra noi docenti, con gli studenti e con i loro genitori quali sono i cardini del patto educativo che costituisce la cornice del nostro fare scuola, cardini su cui chiedere una corresponsabilità? Mai abbastanza. Purtroppo la situazione alle superiori dove il voto in condotta c’è da sempre, non è diversa. Che cosa c’è dietro un 8 o dietro un 9? Il voto non è buono o cattivo di per sé. È semplicemente un indicatore. E come ogni indicatore se non è chiaro quel che “indica” è inutile. Senza chiarire a che cosa si riferisce un dato voto o un dato giudizio le cose non cambiano, senza chiarire qual è il terreno comune fra docenti, studenti e genitori è difficile capirsi e senza condividerlo è impossibile educare.

Nessun insegnante potrà mai mettersi al posto del proprio alunno e non potrà mai cambiare i suoi genitori. Lo potrà incoraggiare, appassionare, correggere, sostenere nel percorso di apprendimento e di crescita ma non potrà mai farlo senza il coinvolgimento della sua intelligenza e della sua libertà. Non mi strappo le vesti se il ministro Valditara, preoccupato per le derive da “Arancia meccanica” che sta prendendo una parte delle nostre periferie e gli episodi di violenza e mancanza di rispetto a cui assistiamo continuamente, desidera dare un segnale deciso a tutti, docenti, alunni e genitori, introducendo anche alle medie una regola già presente alle superiori. Quella delle medie è un’età importante, in cui i bambini diventano grandi in fretta e iniziano a decidere, guardando noi adulti e i loro pari, “chi” vorranno essere. Non ammettere all’anno successivo o all’esame di stato con un 5 in condotta significa dare un messaggio molto chiaro: mancare di rispetto ed essere violenti è molto più grave che avere il 5 in una materia.

C’è però una condizione perché questo provvedimento possa essere efficace e rimanere un segnale limite da non varcare mai. È necessario lavorare ogni giorno perché nelle nostre classi domini il bene. Non bastano i lavori di gruppo per aiutare i nostri studenti a vivere l’esperienza che esiste un terreno comune da cui partire e su cui costruire relazioni che aiutano ad apprendere, a capire, a scoprire e a crescere insieme. È nelle nostre classi che si può iniziare a considerare “l’altro” un compagno, un amico, un maestro e non un ostacolo o un oggetto da usare.

Elena Ugolini, professoressa, già sottosegretaria all’Istruzione

Novara: Così il sistema rischia di tornare indietro di un secolo

Il governo, con un decreto legge che andrà comunque ratificato dal Parlamento, ha deciso di inasprire le norme sul voto in condotta, specialmente nelle scuole secondarie. L’intenzione è chiara: utilizzare il voto in condotta come strumento punitivo e di contenimento dei comportamenti sbagliati, in particolare degli episodi in cui l’aggressività degli alunni si manifesta contro gli insegnanti o i compagni. Se si vuole rilanciare la scuola tradizionale dell’autorità, dell’ordine e del controllo il mezzo più ovvio e naturale è proprio questo. La natura profonda della scuola subisce così una drammatica torsione non solo semantica, ma sostanziale passando da «a scuola si impara» a «a scuola ci si comporta bene». Fatto salvo che l’istituzione scolastica sia per antonomasia un luogo dove imparare a vivere e assimilare nozioni e contenuti, l’uso punitivo del voto in condotta appare proprio equivoco per motivi ben precisi.

Il messaggio immediato e neanche troppo subliminale suona così: la scuola è una tortura e tu ci resterai un anno in più. Si rischia di generare un pasticcio non indifferente non solo nella percezione da parte degli alunni, ma anche nello statuto della scuola stessa vista in termini ottocenteschi come nel libro Cuore, in Pinocchio o nel racconto di Gianburrasca.

La scuola diviene luogo di espiazione, non di crescita e di sviluppo delle proprie risorse. Si allontana da quell’idea di comunità di apprendimento che continuano a propinare i documenti ministeriali che poi vengono regolarmente smentiti da decisioni come questa. Il massimo dell’originalità lo si otterrebbe quando uno studente andasse bene sul piano dell’apprendimento, ma venisse obbligato a ripetere l’anno solo perché si è comportato male.

La pedagogia, come scienza dell’educazione, offre centomila soluzioni al problema degli alunni difficili. Questa variante dell’espiazione scolastica attraverso la bocciatura non è solo una semplificazione banale, ma uno dei metodi più inefficaci. Crea rancore negli alunnie nelle famiglie trasmettendo l’idea che la scuola sia un luogo dove il condannato sconta la sua pena.

Se il governo intende far tornare indietro la scuola non di qualche anno ma forse di più di un secolo indubbiamente ha imboccato la strada giusta. In effetti tante dichiarazioni del Ministro sono sempre andate in questa direzione: assecondare le istanze repressive di una fetta di elettorato gioverà al futuro di questa istituzione che invece ha un bisogno estremo di innovazione, di cambiamento e di formazione pedagogica degli insegnanti? Ci dobbiamo attendere corsi sull’uso corretto del voto in condotta invece che sulla gestione della classe come gruppo, sullo sviluppo delle competenze sociali tra gli alunni, sulla capacità di litigare bene? Il prossimo passo sarà un presidio delle forze dell’ordine in ogni istituto scolastico? Questo inizio non induce pensieri positivi in chi crede nella scuola come luogo di genesi dei valori di convivenza, democrazia, comunicazione e ascolto reciproco.

Mi auguro che ci sia un ripensamento e che non si voglia usare anche la scuola per campagne elettorali ormai sempre più lunghe e praticamente infinite.

Daniele Novara, pedagogista

Avvenire, 20 settembre 2023