Presentazione di Mons. Bruno Stenco
Carissimi giovani studenti e docenti universitari,
questa collana «Spiritualità dello studio» nasce dalla consapevolezza che nell’organizzazione della nostra società il mondo dell’università (con tutti i suoi problemi) non è un ambiente qualunque, un sottosistema come gli altri. Per i destinatari a cui si rivolge – cioè i giovani – può essere (se non viene asservito ad altre logiche) un laboratorio, una vera palestra di formazione, di crescita e di sviluppo personale, sociale, civico, professionale.
L’intento, caldeggiato e promosso dall’Ufficio Nazionale della CEI per la pastorale universitaria, è quello di reagire alla deriva che tende a ridurre lo studente a una «macchinetta mangiacrediti» e di offrire un contributo positivo: l’università ha da fare con «soggetti», non con «prodotti», con tanti giovani, con un arcipelago di vissuti, con storie, con culture, con tante differenti persone.
Più precisamente si vuole approfondire un punto: come il singolo giovane studente possa accogliere e riconoscere nell’esercizio esigente del lavoro scientifico, dello studio e della ricerca la forma che edifica la propria vita interiore, chiarisce la propria identità, orienta la propria disposizione sociale.
Non si può, tuttavia, sottovalutare l’influsso di una cultura diffusa che tende a separare valori umanistici e professionalità, mondi vitali e meccanismi di sistema, spiritualità e scienza. Si tratta di una cultura che si preoccupa dello sviluppo intrinseco di saperi specialistici e di tecniche anche senza una presa di coscienza riflessa, senza motivazioni teoricamente adeguate. Un treno lanciato senza conduttori: esito rischioso è quello di una frattura tra formazione della coscienza e sapere scientifico con il conseguente oscuramento non solo dell’identità e della responsabilità personali, ma anche delle relazioni interpersonali e del tessuto sociale.
L’autore di questo opuscolo, il prof. Elmar Salmann, ha sviluppato le sue riflessioni in modo spontaneo e colloquiale nell’occasione festosa, preceduta dall’esecuzione di un concerto musicale, di un incontro internazionale di studenti vincitori di una borsa di studio per lo studio della lingua tedesca.
Questo stile si adatta bene allo spirito della collana che vuole offrire l’occasione per la riflessione personale e magari per il dibattito e il confronto tra docenti e studenti finalizzati a rimotivare lo studio accademico. Non è sufficiente la semplice notifica e registrazione delle esigenze intrinseche nel lavoro scientifico (finalizzate a garantire il rigore, la generalizzazione e l’«obiettività»); c’è bisogno nel contempo di sviluppare consapevolmente quel «processo» di «formazione della coscienza» che ci riguarda come uomini prima ancora che come studenti e docenti universitari. Spiritualità e ricerca scientifica non sono due mondi contrastanti, anzi, hanno una profonda affinità.
Lo studente, il ricercatore, il docente che sinceramente si incamminano per la via di un’autentica spiritualità e intendono esaminare la propria coscienza sono invitati dall’autore a non trascurare gli elementi basilari, a iniziare dal basso con umiltà, a lavorare duro, a valutarsi con spirito critico e anche con l’impegno costante di una vera ascesi. Le dimensioni del colloquio interiore (soliloquium) sono illustrate efficacemente nella seconda parte. È necessario assumere consapevolmente e con equilibrio la propria origine, la propria identità, la propria progettualità giungendo fino ai ripostigli dell’anima.
Acquista a questo punto un rilievo particolare la registrazione delle differenze, l’apertura all’altro, la capacità e la possibilità del dialogo. Si tratta anche di una sfida. Come sarà possibile mantenere alle nostre università di massa la qualità di communitas studentium et docentium? Abitare le differenze è impresa difficile!
Emerge a questo punto quanto la coscienza sia intrinsecamente rapporto e apertura che vive costantemente di molteplici affidamenti. Qui essa si manifesta come rapporto vivente tra libertà (abbandonarsi) e verità-giustizia (offrirsi). In essa si manifesta l’istanza della verità e del bene. Aprirsi all’invocazione e alla preghiera non è a questo punto un atto nuovo rispetto al vivere e al ricercare, ma l’esercizio effettivo della vita e dell’autentico sapere come continuo affidarsi mediante il sentire, l’agire e il pensare, anche se non vi è sempre coscienza riflessa di questo.
Mi auguro che questo ragionamento del prof. Salmann convinca molti: l’università non è un ambiente qualunque, un sottosistema come gli altri della nostra società: ne è in realtà il suo vero centro generatore. I giovani studenti e i docenti, con rinnovata passione, sapranno vivere l’emozione del pensiero, l’avventura della formazione vera, anche de dura e faticosa, la promozione dei valori civili, l’impegno solidale, l’apertura alla speranza.