Presentazione di S.E. Mons. Ignazio Sanna, Arcivescovo di Oristano
Gusto o fatica del pensiero? Dipende dai punti di vista. C’è chi prova piacere a pensare, e chi prova piacere a non pensare, a condurre, cioè, una vita «spensierata». Sicuramente il pensiero, in molte circostanze, richiede fatica. Antonio Gramsci un giorno scrisse a suo figlio Delio dicendogli: «Caro Delio, i tuoi bigliettini diventano sempre più corti e stereotipati. Io credo che tu abbia abbastanza tempo per scrivere più a lungo e in modo più interessante; non c’è nessun bisogno di scrivere all’ultimo momento, in fretta in fretta, prima di andare a spasso. Ti pare? Non credo neppure che ti possa far piacere che il tuo babbo ti giudichi dai tuoi bigliettini come uno stupidello che si interessa solo della sorte del suo pappagalluccio, e fa sapere che sta leggendo un libro qualsiasi. Io credo che una delle cose più difficili alla tua età è quella di star seduto dinanzi a un tavolino per mettere in ordine i pensieri (e per pensare addirittura) e per scriverli con un certo garbo; questo è un “apprendissaggio” talvolta più difficile di quello di un operaio che vuole acquistare una qualifica professionale, e deve incominciare proprio alla tua età. Ti abbraccio forte. Antonio».
Don Repole, in questa sua breve lettera, scrive che anche lo studente di oggi è chiamato a «mettere in ordine i suoi pensieri e a scriverli con un certo garbo». Con stile semplice e colloquiale, egli allaccia una specie di rapporto personale con il suo lettore e gli fa capire che nell’esercizio del pensiero oltre la fatica c’è anche un determinato gusto. Il gusto della ricerca, della programmazione, della fantasia. Oggi, lo studente dispone di tanti mezzi. Ma gli mancano i significati. L’autore della lettera individua questi significati in sette parole chiave, che danno da pensare: incanto, fragilità, umiltà, domanda, sim-patia, attesa, dono.
Ritengo che con la riflessione su queste parole si scopra che pensare oltre che doveroso è anche piacevole, perché il pensiero apre orizzonti e crea futuro. L’orizzonte del dono, in modo particolare, sfida lo studente a far prevalere, sull’«io penso» cartesiano e l’«io consumo» della società contemporanea, l’«io amo». È noto, infatti, il principio dell’antropologia della modernità, che ha distrutto l’unità di anima e corpo. In base a questo principio, l’uomo è costituito da due sostanze: la sostanza pesante, la cui caratteristica essenziale è il pensiero, e la sostanza estesa, la cui caratteristica essenziale è quella di occupare una determinata estensione fisica. Mentre la sostanza pesante si conforma alle leggi del pensiero, la sostanza estesa si conforma alle leggi meccaniche della fisica. La bipartizione della realtà nelle due sostanze, quella fisica e quella mentale, è nota come il dualismo cartesiano, che ha influenzato profondamente la filosofia occidentale e ha privilegiato il soggetto penalizzando l’oggetto.
Secondo l’analisi di Z. Bauman, l’«io penso» è stato sostituito dall’«io consumo». Si consuma il cibo, si consumano i vestiti, si consumano le esperienze, si consumano i sentimenti. Alcuni consumi sono necessari; altri sono indotti. La consegna è: bisogna consumare, per rimanere in movimento. La vita del consumatore consiste nel rimanere in movimento. Il suo incubo è che le cose rimangono come sono, che rimangono stabili e definite più del dovuto. Se si è soddisfatti si è finiti, privi di desideri, di futuro, di prospettiva, di avventura. Perciò, bisogna rimanere insoddisfatti, alla ricerca di esperienze nuove. Il ciclo economico prevalente è quello del «compra, godi e butta via».
Mi auguro che la lettera di don Repole aiuti a superare l’«io penso» e l’«io consumo» con l’«io amo». I medievali usavano affermare: ubi chiaritas, ibi intellectus: il mio amare è il mio conoscere. Il termine ebraico «conoscere» indica l’unione intima, come il termine italiano «concepire» è riferito sia al concepimento di un figlio che alla concezione di un’idea, e il termine francese con-naissance indica semanticamente la con-nascita. L’amore è la forma suprema di conoscere e comunicare, la quale non si esaurisce nella sola parola, ma si allarga a una vastissima gestualità simbolica e affettiva, e si sviluppa e si manifesta nel sentimento, nella contemplazione, nella gratuità. La grammatica dell’amore non è fatta solamente di parole, bensì di gesti concreti di generosità, di altruismo, di dedizione disinteressata all’altro.
Una cosa è universalmente constatabile: l’esistenza specificamente umana inizia con il riconoscimento di noi stessi da parte di un altro essere umano, che noi riceviamo dall’esterno. L’esistenza dell’individuo, all’alba della sua avventura umana, per così dire, non inizia con una competizione di affetti e di ruoli, bensì con lo sguardo della madre che ogni neonato attira su di sé. Grazie a quello sguardo materno, il neonato si sente accolto, riconosciuto, amato. Questo fatto ci ricorda che dobbiamo ritornare a guardare in alto, alla ricerca di uno sguardo divino che incroci lo sguardo umano per far nascere un dialogo di amore. Come il cielo dà il colore al mare, così Dio dà il senso alla vita. Lo sguardo di Dio ci ricorda che, per essere uomini, non basta pensare e consumare. È soprattutto necessario amare ed essere amati.