C’è legge e legge. Il ddl “Misure di prevenzione e contrasto della discriminazione e della violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità”, noto con il nome del primo firmatario, il Pd Zan, ha vistosamente due obiettivi paralleli: la tutela di persone deboli, fragili ed emarginate e l’affermazione ideologica. Sul primo registro si pongono gli articoli centrali, sul secondo, in tutta evidenza l’articolo 4 e gli articoli 7 e seguenti. A parte l’insistenza sull’ambiguo concetto di “genere”.
Deve essere ben chiaro che questo doppio registro, anche se corrisponde ad una radicata linea culturale mainstream, ovvero indicata come pensiero dominante, almeno nei Paesi occidentali di capitalismo maturo, come ogni cosa, in democrazia, deve essere oggetto di una responsabile discussione. E di un bilanciamento. Lo ha auspicato con la consueta prudenza e chiarezza la Presidenza della Conferenza episcopale italiana, riunitasi lunedì 26 aprile, in un comunicato che riprende una coerente serie di pronunciamenti: “una legge che intende combattere la discriminazione non può e non deve perseguire l’obiettivo con l’intolleranza, mettendo in questione la realtà della differenza tra uomo e donna”.
Tutto qui. Non è in questione il fatto che, come ha scritto papa Francesco e lo ha mostrato in tante occasioni concrete “ogni persona, indipendentemente dal proprio orientamento sessuale, va rispettata nella sua dignità e accolta con rispetto, con la cura di evitare ogni marchio di ingiusta discriminazione e particolarmente ogni forma di aggressione e violenza” (AL, 250).
Tutelare le persone con i più diversi orientamenti sessuali, anche con un inasprimento delle aggravanti per molti, odiosi reati, non significa cambiare surrettiziamente i parametri culturali e dunque sociali e impedire la discussione pubblica. “È necessario – prosegue il testo della Cei – che un testo così importante cresca con il dialogo e non sia uno strumento che fornisca ambiguità interpretative”.
La questione fondamentale dell’identità di ciascuna persona e dell’articolazione della famiglia e dunque della vita deve esser sottratta alle esibizioni ideologiche, tanto più in un contesto di grande debolezza del sistema politico. Anche e proprio per combattere in modo strutturale la violenza, che invece un mercato onnipotente, che si vorrebbe padrone financo delle identità delle singole persone, finirebbe inevitabilmente per alimentare surrettiziamente.
Un “dialogo aperto e non pregiudiziale” è dunque ancora possibile, per arrivare ad una soluzione legislativa forse più modesta, ma anche più efficace, che, tutelando effettivamente i più deboli, accogliendo ed accompagnando i giovani nel loro percorso di crescita, faccia ritrovare a tutti il gusto di una società aperta e plurale, proprio perché sicura sui principi.
Francesco Bonini
Sir, 17 maggio 2021