È dedicato ai “Linguaggi dei giovani di oggi” l’ultimo numero (il 12°, dicembre 2018-gennaio 2019) di “Docete”, la rivista della Fidae, la Federazione istituti di attività educative. Pubblichiamo ampi stralci dell’articolo di don Armando Matteo, scrittore e docente di teologia fondamentale. In apertura gli editoriali del presidente Virginia Kaladich e del direttore Gianni Epifani. Il fascicolo della rivista è disponibile online sul sito www.fidae.it.
Non è possibile parlare delle nuove generazioni e dunque provare a evidenziare quali siano i loro linguaggi, senza aver accennato, almeno brevemente, al contesto nel quale i suoi rappresentanti si trovano ad affrontare il loro cammino esistenziale verso l’età adulta. (...) Il contesto attuale è quanto mai svantaggioso per le nuove generazioni e nessuno più e meglio di papa Francesco lo ha saputo, con poche e precise pennellate, descrivere e stigmatizzare: «Abbiamo creato una cultura che, da una parte, idolatra la giovinezza cercando di renderla eterna, ma, paradossalmente, abbiamo condannato i nostri giovani a non avere uno spazio di reale inserimento, perché lentamente li abbiamo emarginati dalla vita pubblica obbligandoli a emigrare o a mendicare occupazioni che non esistono o che non permettono loro di proiettarsi in un domani (...)». Per quanto possa apparire paradossale, non è, allora, per nulla facile oggi essere giovani e di questa fatica i linguaggi giovanili sono allo stesso tempo luogo di restituzione ma anche luogo di elaborazione, di superamento, di speranza.
Non esiste analisi delle nuove generazioni che non parta dall’enorme importanza che il digitale ha per loro. Tutti sappiamo che quello digitale è un vero e proprio “ambiente”, non tutti siamo però a conoscenza della sua complessa ambivalenza. Per i giovani, esso può certamente diventare luogo di fuga, rispetto a una società che non ha occhi né orecchi per te; può ancora diventare luogo di esaltazione narcisistica in un contesto culturale per il quale la vera salvezza umana è data dalla permanenza nella giovinezza e cioè nella perfetta forma fisica, nella capacità di performance sempre più evolute a ogni livello e nell’ostentazione del proprio potere di attrazione e fascinazione. Ma il digitale è anche un luogo, per un numero molto più elevato di giovani di quel che si potrebbe credere, di amicizia, autenticità e comunità (...).
Un secondo, decisivo linguaggio del mondo giovanile è quello della musica, amata, pratica, ascoltata in una misura mai sperimentata dall’umanità. E questo non è un caso. La musica è spazio di creatività (...). Più in profondità, la musica è per i giovani soprattutto spazio di liberazione, direi addirittura di esorcismo rispetto alle ossessioni performanti di adulti e di vecchi che sanno valutare il loro operato solo in termini di rendita e di crescita di capitale. E qui la musica assomiglia al lavoro degli spiritual degli afroamericani: è protesta potente contro le passioni tristi degli adulti e dei vecchi. Non si può vivere di solo denaro e potere! (...)
Un altro linguaggio particolarmente utilizzato dalle nuove generazioni è quello della fotografia. Il cui soggetto privilegiato è molto spesso la natura con i suoi straordinari paesaggi oppure l’enorme degrado cui essa è sottoposta a causa dello sviluppo selvaggio in atto da troppo tempo. Oserei dire che, proprio grazie a tutto ciò, nel mondo giovanile sta avanzando una sorta di mente ecologica, che è davvero una bella notizia per il futuro della specie. Forse proprio la giusta distanza che l’arte della fotografia richiede e insegna è metafora di un più generale e complessivo atteggiamento di stupore che i giovani suggeriscono al popolo degli adulti: stupore per un pianeta, il nostro, che è l’unico tra quelli sinora conosciuti a generare e conservare forme superiori di vita (...).
Parlare di giustizia è una questione vitale per le nuove generazioni. Sono, infatti, soggette a una delle più grandi ingiustizie intergenerazionali che la storia della nostra specie abbia mai conosciuto. Noi adulti stiamo mettendo a rischio il loro semplice diritto di succederci. Questo è il punto. E non ditemi che è poco. Ed è forse da questo tremendo presentimento di fondo che accomuna i giovani che nasce quel loro mancato coinvolgimento nell’ambito del politico e pure del religioso. Quel senso di distacco. Quel guardare altrove. Che cosa, in verità, sono diventati i nostri parlamenti e i nostri partiti, le nostre chiese e i nostri movimenti ecclesiali? Non c’è chi non veda come quasi tutti gli ambienti prima citati siano ormai assediati dalla costante volontà gerontocratica di mantenere le cose come si sono sempre fatte, prorogando diritti e privilegi a chi li ha sempre avuti e respingendo fieramente ogni tentativo di dare legittima risposta alle prerogative dei giovani. E spesso “non votare” o “non andare in chiesa” è l’ultima chance a loro disposizione per farsi paradossalmente “vedere” (...).
Vorrei, infine, ricordare il forte amore per la lettura che le nuove generazioni manifestano. I numerosissimi festival culturali di ogni specie le vedono, infatti, sempre come protagoniste. Leggere è un altro linguaggio dei giovani di oggi (...). Leggere è una forma di resistenza. Allo stesso modo mi pare una forma di nuova immaginazione il linguaggio specifico inventato dai giovani – quello, per intenderci, che essi utilizzano soprattutto nelle mail, negli sms, o ancora su Facebook, Whatsapp eTwitter. A guardarlo attentamente, possiede una capacità di sintesi, di efficacia e di risparmio davvero unica. E tutto questo non è forse indice del desiderio di una maggiore prossimità umana?
Armando Matteo
Docete, 12/2018