UFFICIO NAZIONALE PER L'EDUCAZIONE, LA SCUOLA E L'UNIVERSITÀ
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Vita a scuola: vecchi romanzi sempre attuali

Non solo “Cuore”: torna un racconto in cui Stuparich tratteggia l’incontro con l’amore di un liceale di primo ’900
9 Novembre 2017

scuola ci sono cose, oggi, che sono uguali a cent’anni fa. Lo studente che lancia un cestino contro l’insegnante ricorda il Franti del libro Cuore: anche lì la madre si rivolgeva al direttore implorandolo di non espellere suo figlio dall’istituto, come nelle cronache dei giorni scorsi abbiamo letto della madre del giovane che ha supplicato la preside di dare un’altra chance al figlio scapestrato. La dirigente scolastica – come si dice oggi – non avrà pronunciato la frase, forse un po’ patetica, del suo collega deamicisiano («Franti, tu uccidi tua madre!»), ma alla fine anche lei ha accettato di continuare a farsi carico dell’istruzione di questo ragazzo “difficile”. Facendo bene: perché – oggi come ieri – la scuola non può non farsi carico del disagio (sociale, comportamentale o psicologico che sia).

Tuttavia ci sono anche aspetti belli, piacevoli, persino commoventi della vita scolastica, che la letteratura descrive in termini in cui si può facilmente rispecchiare il presente. L’inizio di un nuovo anno scolastico in un liceo di oggi non è dissimile da quello di un secolo fa. «Nell’atrio deserto, dall’alto attraverso la vetrata del tetto, pioveva la luce di una mattina calda e sonora di settembre. Di fuori giravano ancora, come bandiere di festa, le vacanze coi giochi e coi bagni. Dal secondo loggiato provenivano di tanto in tanto squilli di voci ridenti che, ripercotendosi sulle colonne, empivano l’atrio di fragore». È l’incipit di un piccolo capolavoro della letteratura italiana del Novecento: il racconto lungo (o romanzo breve) Un anno di scuola di Giani Stuparich (1891-1961), ora riproposto, con una bella postfazione di Giuseppe Sandrini, dalla casa editrice maceratese Quodlibet (pagine 96, euro 13,00).

In questo testo, apparso per la prima volta nel 1929, lo scrittore triestino tratteggia un suggestivo ritratto femminile, quello dell’adolescente Edda Marty. L’atteggiamento di Antero, un suo compagno di scuola fortemente attratto da lei, ricorda da vicino una “sintomatologia” dell’amore adolescenziale reso in termini che richiamano lo Stilnovo di Guido Cavalcanti (la lingua che si paralizza, il “naufragio” del ragazzo, il dolore, il desiderio di morte). Quando in una classe tutta maschile di liceo classico arriva, nuova alunna, questa ragazza intelligente, sveglia, un po’ spregiudicata, è lo scompiglio più totale. La presenza femminile scombussola i rapporti consolidati tra i compagni. Antero inizialmente cerca di tenere le distanze, ad esempio dando del lei a Edda, ma poi rimane anche lui travolto – anzi, lui più degli altri – dalla carica di vitalità della giovane: «Questa volta si fissarono. Le pupille di lei erano d’una luminosità solare, e per la sua bocca scorrevano i sentimenti come ombre morbide su prati. Antero naufragò in tutta quella luce e per un attimo ebbe la sensazione che sarebbe stato forse meglio non esistere, perché doleva troppo; e la guardò come se implorasse la morte da lei. Edda Marty sbatté le palpebre quasi per allontanare da sé quello sguardo, e con gli occhi tornati più miti, in cui sfavillavano belle pagliuzze d’oro, e con la voce un poco sibilante, arrossendo, lo invitò a fare una passeggiata».

Oggi come allora tra ragazzi e ragazze ci può essere una certa informalità nella comunicazione, libertà di linguaggio, il gioco di qualche allusione non proprio casta... eppure si tratta molto spesso di spavalderie che servono a nascondere la timidezza, l’insicurezza, il senso di un innato pudore. Ma al di là delle apparenze, l’amore, il vero amore determina sempre un perfezionamento interiore, un’evoluzione emotiva, una maturazione psicologica: «Antero al suo contatto s’affinò, la compagna chiassosa e volgare gli divenne insopportabile». Stuparich è stato così bravo nel descrivere queste cose forse proprio perché le ha vissute in prima persona. Nel saggio che chiude questa edizione di Un anno di scuola, il curatore Giuseppe Sandrini pubblica una lettera, sinora inedita, inviata il 3 febbraio 1916 dallo scrittore alla fidanzata Elody Oblath, in cui si chiarisce in maniera inequivocabile l’origine autobiografica del racconto.

Roberto Carnero

Avvenire, 9 novembre 2017