Sono giorni turbolenti per la scuola, divenuta teatro di episodi di violenza, prepotenza e generale maleducazione che sta colpendo non soltanto moralmente ma anche fisicamente gli insegnanti. Ultimo, in ordine di tempo, il vicepreside della scuola media “Murialdo” di Foggia, picchiato, sabato scorso, dal padre di un allievo di 11 anni che aveva rimproverato. Colpito con un pugno alla testa e, una volta a terra, ripetutamente preso a calci all’addome, il professore ha avuto una prognosi di trenta giorni a causa dei diversi traumi riportati. L’aggressore, un uomo di 38 anni, è stato indagato con l’accusa di lesioni aggravate da aggressione a pubblico ufficiale. Del caso è stata informata la Procura della Repubblica di Foggia che ha aperto un fascicolo. I magistrati devono decidere per un eventuale provvedimento a carico del violento. I fatti di Foggia seguono quelli recenti di Caserta e di Avola, che hanno avuto per vittime altri insegnanti e dirigenti scolastici, colpevoli solo di aver fatto come migliaia di altri loro colleghi il proprio dovere educativo.
Cos’è successo nella città pugliese? Secondo quando ricostruito in una nota della scuola, l’insegnante, Pasquale Diana, ha richiamato l’alunno di prima media affinché non facesse cadere i compagni che lo precedevano in fila all’uscita della scuola. Non trovando ascolto, il vicepreside ha tolto il ragazzino dalla fila prendendolo per un braccio. Una volta a casa, l’alunno ha invece riferito di essere stato picchiato dall’insegnante, scatenando le ire del genitore. Che ha pensato bene di «farla pagare» al docente nella maniera più brutale e vergognosa possibile, non dando certamente un buon esempio al proprio ragazzo. Cosa che, invece, nonostante il dolore per i colpi ricevuti, ha fatto l’insegnante, non reagendo all’oltraggio.
«Avevo addosso gli occhi del figlio di chi mi stava picchiando e quelli degli altri alunni – ricorda, ancora dolorante, il professor Diana –. A scuola abbiamo fatto tante lezioni sul rispetto delle regole e sul linguaggio non violento. Reagendo avrei annullato tutto quello che ave- vo cercato di insegnare loro. Non me lo sarei mai perdonato».
Ieri il docente, che ha intenzione di «tornare a scuola quanto prima per spiegare ai ragazzi quello che è successo», ha ricevuto la solidarietà della ministra dell’Istruzione, Valeria Fedeli, che definisce «gravi» i fatti di Foggia. «Sconvolge – sottolinea Fedeli – pensare che un genitore possa entrare in una scuola e compiere atti simili. Sono fatti che danneggiano profondamente il rapporto scuola famiglia, che interrompono bruscamente la corresponsabilità educativa e che vanno condannati con forza. Attaccare la scuola, cercare di toglierle dignità o valore – prosegue la ministra – significa fare un danno al Paese. Per questo condanniamo quanto accaduto a Foggia e continueremo a lavorare per rimettere la scuola al centro del processo di crescita civile dell’Italia».
Una «risposta chiara» alla recrudescenza delle aggressioni agli insegnanti, è stata sollecitata dalle segretarie generali di Cisl e Cisl Scuola, Annamaria Furlan e Maddalena Gissi, che firmano una nota congiunta. «Non possiamo fare finta di niente – si legge –. Nulla può giustificare le aggressioni e le intimidazioni nei confronti di chi svolge il proprio dovere con grande dignità, professionalità e passione, aiutando i giovani a costruire il proprio futuro nella società e collaborando in maniera responsabile con le famiglie». Il tessuto educativo del Paese, a partire da quel che si insegna nelle nostre classi, è forte e sano, semmai, sottolinea Vittorio Lodolo D’Oria, medico e tra i massimi esperti del rischio burnout (lo stress da lavoro, ndr) degli insegnanti, «il ministero deve difendere questi insegnanti anche costituendosi parte civile nei processi agli aggressori. Occorre dare un segnale forte».
Ciò che va con urgenza recuperato, scrive a riguardo l’ex ispettore del Miur, Mario Maviglia su La vita scolastica, è il «prestigio sociale» che, ancora fino a pochi decenni fa, veniva riconosciuto agli insegnanti. «A tutto ciò va aggiunto il modesto status economico-retributivo dei docenti italiani che non ha eguali nei Paesi comparabili all’Italia e che ha progressivamente relegato i nostri insegnanti in una fascia bassa della già affaticata “classe media”. Quest’insieme di fattori – aggiunge l’esperto – restituisce un’immagine debole dei docenti, la cui “attaccabilità” sempre più spesso travalica i confini del simbolico».
Paolo Ferrario
Avvenire, 13 febbraio 2018
In allegato il Primopiano su “Avvenire” del 13 febbraio 2018