Tutto il mondo della scuola è in subbuglio. Tra sabato e lunedì oltre sei milioni di studenti italiani, dalle primarie alle superiori (su un totale di 8,3 milioni), potrebbero restare a casa per via delle ultime disposizioni previste nel Dpcm. In pratica 3 su 4. Perchè nelle prossime ore in 14 Regioni i portoni delle scuole verrebbero sbarrati a causa dei contagi che si stanno diffondendo e dei colori delle zone che, come prevedibile, diventeranno più accesi. Stime di YouTrend calcolano che sono al momento 24 le province in cui si supera la soglia settimanale di casi positivi al coronavirus, condizione che impone la chiusura. Quasi come un anno fa, durante il lockdown, quando l’Italia era blindata da Bolzano a Palermo.
Con le varianti, inoltre, più contagiose e aggressive verso i giovanissimi, il rischio è di andare avanti ancora per mesi con la didattica a distanza e quindi di dover prolungare l’anno scolastico sino ad estate inoltrata per poter recuperare le lezioni in presenza finora perdute. Ipotesi ventilata nei giorni scorsi negli uffici del ministero di viale Trastevere e che, se diventasse realtà, provocherebbe un evidente disagio per ragazzi, famiglie e insegnanti. Un punto interrogativo poi riguarda anche i tempi di svolgimento degli esami di maturità. Ma tutto dipende, ovviamente, dall’andamento della curva pandemica nei prossimi mesi.
Sono state accolte dal governo, infatti, le nuove regole indicate dal Comitato tecnico-scientifico: scuole di ogni ordine e grado (asili compresi) automaticamente serrate nelle zone rosse mentre se i contagi salgono oltre i 250 casi alla settimana ogni 100mila abitanti in territorio giallo o arancione la palla passa ai governatori delle Regioni che dovranno decidere se mandare tutti a casa stabilendo provvedimenti ad hoc, da applicarsi in ambiti limitati, «in caso di motivata ed eccezionale situazione di peggioramento della situazione epidemiologica». Misure localizzate. Come aveva chiesto il nuovo ministro dell’Istruzione, Patrizio Bianchi il quale si era opposto nella riunione della “cabina di regia” a forme di chiusura simultanea con lo scatto in arancione, categoria che prevede peraltro che negozi e centri commerciali rimangano aperti. Sarebbe stata un’incongruenza. «La scuola non chiude, non ha mai chiuso – ha ribadito ieri il ministro – e gli insegnanti sono stati sempre presenti ». «La parola Dad non mi piace – ha aggiunto Bianchi – non è didattica a distanza ma di avvicinamento e la facciamo solo in situazioni estreme, ora dobbiamo passare la piena dell’emergenza».
Il dilatarsi dell’emergenza, inoltre, ha portato anche a inserire nel Dpcm, su proposta del ministro del lavoro Andrea Orlando, la possibilità di usufruire di congedi parentali per genitori con figli minori di 14 anni. E per questo sono stati stanziati 200 milioni di euro. E per il 26 marzo, il “Comitato priorità alla scuola”, con le famiglie che lamentano «un totale disinteresse per la scuola», ha lanciato una giornata di mobilitazione (in concomitanza con lo sciopero indetto dai Cobas, a cui ha dato la propria adesione) contro la chiusura degli istituti e per chiedere di assegnare congrue risorse del Recovery Plan alla scuola pubblica finalizzate a potenziare il personale e adeguare le strutture. Previste inoltre mobilitazioni a livello locale con presìdi e lezioni in piazza. Tra le richieste del Comitato, di cui fanno parte studenti, genitori e insegnanti, una riforma del settore che comporti la riduzione del numero di alunni per classe fissando un tetto massimo di 20 e vietando accorpamenti per classi successive.
A Milano, per chiedere «un sensibile cambio di passo nella campagna vaccinale e l’adozione dei test rapidi con tracciamento nelle scuole», si svolge oggi alle 18 un flashmob sotto Palazzo Lombardia organizzato dal comitato “A scuola!” che sostiene: «prevenire è meglio che curare, non chiudiamo di nuovo le scuole, non chiudiamo la porta al futuro del nostro Paese». E lunedì a Torino, in piazza Castello, le studentesse anti-Dad Anita, Lisa e Maia protesteranno davanti agli uffici della Regione Piemonte: «Non capisco questo accanimento contro le scuole quando negli scorsi weekend le piazze erano affollate – dice Maia –, dove sono i dati che dimostrano che la scuola è un veicolo di contagio?». «La scuola è un posto sicuro» aggiunge Lisa.
Per Antonello Giannelli, presidente dell’Associazione nazionale presidi, la “Dad” rappresenta «una scelta dolorosa ma inevitabile» e «se non c’è un’alternativa è meglio che si faccia. Noi – ha precisato – abbiamo sempre avuto massimo rispetto per le autorità scientifiche e sanitarie e se ci dicono che è opportuno tenere gli alunni a casa c’è poco da dire».
Fulvio Fulvi
Avvenire, 4 marzo 2021