UFFICIO NAZIONALE PER L'EDUCAZIONE, LA SCUOLA E L'UNIVERSITÀ
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

“Va rafforzata la filiera della formazione professionale”

In vista della Settimana sociale di Cagliari, la Consulta dell’Unesu affronta i problemi legati all’alternanza scuola-lavoro e alla IeFP
16 Ottobre 2017

“La vera politica attiva del lavoro è rafforzare con adeguati finanziamenti la filiera della formazione professionale”. Non ha dubbi Claudio Gentili, membro del Comitato scientifico organizzatore della Settimana sociale dei cattolici italiani (Cagliari 26 – 29 ottobre 2017). Intervenendo il 13 ottobre scorso all’incontro della Consulta dell’Ufficio nazionale per l’educazione, la scuola e l’università (Unesu) della Cei , Gentili ha sostenuto che di fronte alla sfida dell’industria 4.0 l’ampliamento, la diffusione e il consolidamento della formazione professionale devono diventare “un asset strategico delle politiche e degli investimenti del futuro”. Occorre inoltre “aggiornare e ampliare il repertorio nazionale delle qualifiche e dei diplomi” di questa formazione e “ampliare i certificati di Its proponendo nuove figure e nuovi indirizzi”.

Per l’esperto è necessario raddoppiare la Iefp offerta dagli enti accreditati nelle regioni in cui è debole o inesistente. Lo Stato, spiega, finanzia ogni anno l’università con 7 miliardi, mentre “la posta di 13 milioni messa l’anno scorso per la formazione professionale è scomparsa. Con investimenti contenuti sarebbe possibile in un anno raddoppiare gli iscritti alla Iefp delle regioni in cui essa coinvolge meno del 2% della popolazione scolastica di quella fascia di età riducendo così il forte divario sul territorio (in Lombardia gli studenti coinvolti sono il 20%) e rafforzando la lotta alla dispersione”. Indispensabile anche l’istituzione di una cabina di regia scuola-lavoro presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, realizzata in accordo con i ministeri dell’Istruzione, del Lavoro e dello Sviluppo economico, rappresentanti di Regioni e imprese “per coordinare le azioni necessarie”.

“L’impresa svolge una funzione sociale e il lavoro è una realtà positiva da far incontrare il prima possibile ai nostri ragazzi, all’interno però di un controllo educativo della sua efficacia”, ha continuato Gentili: sono questi i due punti cruciali sui quali “occorre ragionare quando si parla di alternanza scuola – lavoro”. In Italia “non c’è ancora una legislazione che favorisca la collaborazione scuola – impresa, e a differenza di quanto avviene in altri Paesi, i nostri imprenditori non colgono l’importanza di formare i giovani. Manca soprattutto nei piccoli imprenditori una vera cultura della formazione”. Se però “è giusto salvaguardare i diritti degli studenti”, conclude l’esperto, “serve un occhio più sensibile anche verso la funzione sociale che svolge l’impresa”.

“La questione giovanile è la questione per eccellenza del nostro Paese”, ha proseguito Paola Vacchina, presidente nazionale di Forma, associazione nazionale degli enti di formazione professionale. Richiamando la legge 107/2015, più nota come “Buona scuola”, che ha introdotto nella scuola superiore l’alternanza scuola-lavoro obbligatoria, Vacchina ha osservato: “In Italia si passa da un eccesso all’altro. Prima non si poteva parlare di lavoro a scuola; ora il lavoro vi entra in modo massiccio mentre richiederebbe un po’ di gradualità e accompagnamento”. Per quanto riguarda gli abbandoni scolastici (con  numeri record in Italia rispetto all’Europa), tra gli obiettivi della strategia Europa 2020, c’era il loro contenimento al di sotto del 10%. “In Italia – spiega l’esperta – la situazione sta gradualmente migliorando ma rimangono ancora serie difficoltà.  Il dato odierno del 13,8% contro il 14,7% del 2015 è un piccolo passo avanti ma rimane lontano dagli obiettivi”. Soprattutto perché si tratta di un fenomeno distribuito in modo disomogeneo sul territorio: “a Nordest pari all’8,9%; al 12% al Nordovest per toccare il 18,1 in Sardegna dove è schizzato in alto con l’eliminazione della formazione professionale”. Per Vacchina, “la mancanza di sistemi di formazione professionale, ossia di enti accreditati dalle regioni, corrisponde a un tasso più alto di dispersione scolastica”.

“Una filiera professionalizzante forte è una risorsa strategica per l’occupazione giovanile e il reinserimento degli adulti espulsi dal mercato del lavoro”, ha spiegato. Secondo il rapporto dell’Ocse OECD Skills Strategy Diagnostic Report: Italy 2017  (Strategia per le competenze per l’Italia), diffuso il 5 ottobre, il nostro è un Paese “a bassa competenza”, intrappolato in un “low-skill equilibrium”. Secondo l’indagine, 13 milioni di italiani adulti (il 40% della popolazione) possiedono basse competenze. Solo il 20% dei giovani tra i 25 e i 34 anni è laureato (contro la media Ocse del 30%), e anche chi è in possesso di un titolo universitario ha, in media, “un più basso tasso di competenze” in lettura e matematica (26° posto su 29 Paesi Ocse). Tenendo conto di questo, dell’altissimo numero di Neet (giovani Not in education, employment or training) e del grande mismatch tra i contenuti dello studio e le competenze richieste dal mercato di lavoro, per Vacchina “occorre rafforzare la filiera professionalizzante. Alla base – spiega – c’è un problema di orientamento e conoscenza del mercato del lavoro. Servono politiche pubbliche tese e intravvedere e intercettare i bisogni di questo mercato e ad orientare gli studi in questo senso”. Oggi, fa sapere, in Italia “200mila posizioni lavorative rimangono non occupate per mancanza di giovani non formati”. Per quanto riguarda la disoccupazione, in Germania quella generale è pari al 3,8% della popolazione; in Italia arriva all’11,1% (dati aggiornati a giugno 2017); quella giovanile raddoppia in Germania (6,7%) ma è più che triplicata nel nostro Paese: 36,5%. Per Vacchina “una filiera professionalizzante solida e sviluppata costituisce una risorsa strategica non solo per l’occupazione dei giovani ma anche per il reinserimento degli adulti espulsi dal mercato del lavoro”.

A prendere la parola, dopo gli interventi di Claudio Gentili e Paola Vacchina, alcuni membri della Consulta. Per Giuseppe Vecchio, docente di diritto privato all’Università di Catania, “spesso sottovalutiamo l’importanza dell’educazione alla manualità nel processo di formazione della personalità”. Occorre “tenere il doppio canale e dare dignità al sistema della formazione professionale. Gli Its non devono essere considerati ‘secondari’ rispetto all’università”. Secondo Gianmarco Mancini, presidente nazionale maschile Fuci, “tre pilastri” devono accompagnare i giovani in un percorso di discernimento per arrivare ad “una scelta vocazionale: in primis la famiglia, poi la Chiesa e la scuola. Occorre lavorare sinergicamente su questi tre aspetti”. “La questione culturale è il modo nel quale viene visto il lavoro nel contesto della scuola – avverte Roberto Pellegatta, rappresentante Dirigenti scuole autonome libere (Disal) -. Manca la consapevolezza del suo ruolo formativo, e la manifestazione di oggi (degli studenti contro l’alternanza, ndr) lo dimostra. Cruciale il nostro ruolo di cattolici”. Su due punti si sofferma, in particolare, Sandra Chistolini, vicepresidente nazionale vicario Aidu. Anzitutto i minori non accompagnati: “Arrivano a 16-17 anni e devono essere inseriti tempestivamente in percorsi professionalizzanti” anche se, avverte, negli ultimi mesi l’età si è abbassata fino a zero anni. Necessaria, inoltre, “una ricognizione di quanto esiste di buono sul territorio in materia di formazione professionale”.

Giovanna Pasqualin Traversa

Sir, 13 ottobre 2017