L’ultima, in ordine di tempo, si chiamava Diana Biondi: 26 anni, studentessa iscritta alla facoltà di Lettere, è stata trovata morta in fondo a un dirupo a Somma Vesuviana, nel Napoletano, giovedì scorso. L’ipotesi più probabile è che si sia tolta la vita, schiacciata sotto il peso di un percorso universitario che non riusciva più a proseguire ma di cui non aveva il coraggio di parlare con amici o familiari. È soltanto l’ultima di una lunga serie di ragazzi: in loro la paura di deludere la famiglia, la vergogna di non aver terminato gli studi, lo stigma di rimanere indietro rispetto ai compagni. Era accaduto poco più di un mese fa anche a Milano: una 19enne è stata trovata morta all’interno dello Iulm, con accanto biglietto lasciato ai suoi cari dove dichiarava di sentirsi un fallimento e chiedeva scusa per i suoi insuccessi. Il dibattito sulla salute mentale dei giovani universitari è più attuale che mai, ma già da alcuni anni sono molti gli atenei che offrono ai loro studenti servizi di sportello e di sostegno psicologico; una necessità che si è fatta sempre più stringente soprattutto dopo il periodo di pandemia.
«C’è stato un picco delle domande di aiuto nel 2021: il nostro servizio è attivo dal 2017 e all’inizio ricevevamo 150 richieste ogni anno. Siamo saliti a circa 600/700 domande nel 2019 per arrivare a oltre 1.200 nel 2021», dichiara la professoressa Licia Sbattella, delegato per il sostegno psicologico del Politecnico di Milano e fondatrice di PoliPsi, il servizio di counseling dell’ateneo. Strutturato sia mediante laboratori esperienziali che incontri individuali, in italiano e in inglese, il servizio continua la professoressa, responsabile anche del progetto “Identità e benessere” all’interno dell’iniziativa Musa, ha registrato in questo ultimo anno soprattutto situazioni di disagio dovute a difficoltà relazionali e difficoltà ad immaginarsi nel futuro dopo il periodo di isolamento.
Numeri in crescita sono anche quelli registrati dal servizio di counseling della Bicocca. «Siamo attivi dal 2015 e prima del lockdown offrivamo circa 1.900 colloqui all’anno; durante la pandemia abbiamo mantenuto il nostro servizio anche online e ora che siamo tornati in presenza registriamo un aumento del 20% nelle domande. L’anno scorso gli incontri organizzati sono stati 2.300, per un totale di circa 600 studenti seguiti ». Cristina Riva Crugnola è psicologa e co-fondatrice del servizio di counseling dell’ateneo Bicocca; le richieste degli studenti sono in parte simili a quelle del periodo pre-pandemico, ma con il ritorno in classe i maggiori disagi sono quelli legati all’esitazione ad uscire e a riprendere contatti e relazioni sociali.
Disturbi dell’umore, d’ansia e dell’adattamento sono invece i macrotemi raccolti dagli psicologi di Educatt, la fondazione a cui l’Università Cattolica ha affidato i servizi agli studenti, fra cui quello di sportello psicologico. La sua presidente, la professoressa Elena Marta, parla di numeri abbastanza stabili, in linea con quelli del 2019. «Offriamo circa 300 ore di colloqui ogni anno e tra le paure più diffuse ci sono quelle legate all’incertezza del futuro e all’incapacità di superare gli esami. La pandemia ha certo aumentato le richieste di aiuto, ma ha soprattutto dato la possibilità a molti giovani di manifestare il proprio disagio senza sentirsi giudicati, come se si fossero sentiti autorizzati a parlare visto il momento di crisi generale». Su questa linea anche Gianmario Verona, rettore della Bocconi. «La nostra società fa fatica ad accettare l’aver bisogno di aiuto. Abbiamo ricevuto però dai nostri studenti la richiesta ad una maggiore attenzione alla salute mentale e non ci tireremo indietro. Il fatto che il nostro campus sia un ambiente internazionale fa sì che ci sia meno stigma nel riconoscere le problematiche psicologiche».
Avvenire, 5 marzo 2023