Incompiuta (Unvollendete) è come è noto il nome assegnato all’ottava sinfonia di Franz Schubert e lo stesso titolo si potrebbe tranquillamente attribuire alla storia dell’Università nella cultura occidentale e in particolare in Italia. Appare infatti ancora irrisolto nel percorso universitario il dilemma tra ricerca pura e didattica pragmatica, tra un insegnamento concentrato prevalentemente sul sapere fine a sé stesso oppure legato al mondo delle professioni necessarie o possibili, ossia alle esigenze pratiche e produttive del contesto socio-economico. Il senso di incompiutezza del sistema di studi universitari affonda le proprie radici nei profondi cambiamenti nel modo di concepire la formazione di livello accademico intervenuti con l’Illuminismo e in particolare con le riforme di epoca napoleonica, che hanno posto fine al modello di Università dell’età medioevale e consegnato al continente Europeo uno scenario variegato da nazione a nazione.
In questo quadro è importante riflettere anche dal punto di vista filosofico sui caratteri fondanti dell’Università; ed è quanto si è fatto nel corso di un seminario tenutosi presso il dipartimento di Filosofia dell’Ateneo genovese del quale sono stati di recente pubblicati, a cura di Roberto Celada Ballanti e Letterio Mauro, gli atti (L’idea di Università nel pensiero moderno e contemporaneo; De Ferrari Università di Genova, pagine 156, euro 15,00). L’intento esplicito del volume è quello di approfondire la riflessione di «vari studiosi sulle ragioni alla base dell’Università moderna, in particolare sul binomio ricerca-insegnamento e sul modello di formazione (Bildung) dell’uomo a esso strettamente connesso». Si trovano infatti esposti i pensieri di autori come Humboldt, Goethe, Newman, Weber, Gentile, Ortega y Gasset, Jaspers, Guardini, Heidegger, Stein, Bloch e Habermas; pensieri attraverso i quali ci si rende conto di come dovrebbe risultare di gran lunga più elevato il dibattito sulle istituzioni universitarie rispetto a quello a cui si assiste.
Un tema di questo spessore meriterebbe ben altra considerazione, posto che «a fronte di tante rappresentazioni impietose dello stato di crisi e prostrazione in cui versa l’Università, o di tante analisi socio-politiche», difetta sicuramente un’autentica riflessione filosofica. Non sono infatti bastate e tuttora non bastano le sterminate indagini e pubblicazioni di genere sociologico, storico-politico ed economico per sviscerare il nucleo vitale dell’Università, ma occorre un inquadramento filosofico che inserisca qualsiasi processo di riorganizzazione degli studi universitari in un contesto teso a valorizzare la ricerca in senso ampio e pluralistico, senza ridurre tutto alle sole «logiche di efficienza produttivistica». Del resto, fatti contingenti come la pandemia non soltanto hanno imposto «l’abbandono di consolidate metodologie didattiche a vantaggio di altre basate sullo strumento informatico», ma hanno evidenziato quanto poco da noi sia sostenuta finanziariamente la ricerca universitaria; e quest’ultimo è precisamente uno dei principali fattori che continuano a fare della nostra Università un grande “incompiuta”.
Roberto Timossi
Avvenire, 25 aprile 2021