Povertà educativa: è allarme rosso. In Italia il 51% dei quindicenni è incapace di comprendere il significato di un testo scritto. E i più colpiti sono gli studenti delle famiglie disagiate, quelli che vivono al Sud o dispongono di un retroterra familiare migratorio.
Si chiama “dispersione scolastica implicita” ed è una piaga sempre più profonda nel ventre del nostro Paese, una ferita che rischia di comprometterne, in un futuro prossimo, lo sviluppo socio-economico e persino gli equilibri democratici. «È un dramma che va oltre il sistema di istruzione» ha rimarcato Claudio Tesauro, presidente di “Save the Children Italia” aprendo ieri all’Acquario di Roma i lavori di “Impossibile 2022” la quattro giorni di riflessioni e proposte sull’infanzia e l’adolescenza.
La crisi provocata dalla pandemia, che si è aggiunta ai disagi sociali ed economici preesistenti, ha travolto soprattutto i bambini: 1 milione e 384 mila si trovano infatti in povertà assoluta. È il dato più alto degli ultimi 15 anni. E non solo. Un minore oggi in Italia ha il doppio delle probabilità di cadere nel baratro della miseria, cioè sotto un livello di vita accettabile (o minimo di sussistenza), rispetto a un adulto e addirittura ha «il triplo delle probabilità» di entrare in una condizione di “povertà assoluta” nei confronti di un ultrasessantacinquenne. «Una crudele ingiustizia intergenerazionale» ha commentato Tesauro. Raggiungono poi quota due milioni i giovani fra i 15 e i 29 anni che sono privi sia di una formazione che di un impiego (i cosiddetti “neet”) e in sei regioni hanno superato i coetanei che invece un’occupazione ce l’hanno.
«La fragilità del rapporto con la scuola – si legge nel rapporto di STC – fa danni maggiori al Meridione, dove il 16,3% dei giovani ha lasciato prematuramente gli studi nel 2021». Ma la dispersione scolastica in Italia raggiunge il 12,7%, tra i più alti d’Europa dove la media è del 9,9%. «In Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia, per 2 giovani occupati ce ne sono altri 3 fuori dal lavoro, dalla formazione e dallo studio – ha spiegato il responsabile italiano dell’organizzazione che si occupa di tutelare diritti e bisogni dei minori – e questi sono numeri che fanno a pugni con la richiesta del mondo produttivo».
I rimedi? Serve una risposta straordinaria da parte delle imprese e del mondo della finanza, di un piano mirato. «Dobbiamo prendere la strada giusta e partire dai territori più svantaggiati dove mettere le risorse in via prioritaria, ed occupaci dei talenti per far crescere le opportunità per consentire ai bambini e alle bambine di vivere appieno il loro futuro» è l’esortazione della direttrice generale di “Save the Children Italia”, Daniela Fatarella.
Le risorse del Pnrr potrebbero servire per rilanciare le strutture scolastiche e di formazione. Ma anche il governo deve fare la sua parte con interventi ad hoc. La ministra alle Politiche giovanili, Fabiana Dadone, intervenendo al workshop ha ricordato che si stanno investendo risorse «per supportare i ragazzi che vogliono fare imprenditorialità» utilizzando spazi già presenti sul territorio. Ma è arrivata dal ministro del Lavoro, Andrea Orlando, la risposta più attesa da “Save the Children” che ha indicato tra le sue priorità «il raddoppio dell’investimento» sul piano nazionale della “Child Guarantee”. «Spero si possa incrementare ulteriormente. Non raddoppiare perché – ha precisato il ministro Orlando – mi sembra una ambizione grande, ma sicuramente una crescita significativa che a mio avviso può andare intorno al 50-60% in più delle risorse stanziate nei prossimi anni».
Fulvio Fulvi
Avvenire, 20 maggio 2022
(foto Save the Children)