Migliora il rapporto tra laureati e lavoro, con i contratti a tempo indeterminato che crescono, anche se gli stipendi restano ancora al di sotto della media europea. Tanto che sono in aumento coloro che, terminati gli studi, decidono di lasciare l’Italia, anche per ragioni economiche. La condizione occupazionale dei laureati italiani a uno e cinque anni dalla laurea è rappresentata dal Rapporto 2024 di Alma-Laurea, che ha coinvolto circa 660mila laureati di 78 università.
I principali indicatori occupazionali esaminati registrano una riduzione del tasso di occupazione, di poco superiore a 1 punto percentuale tra i neolaureati: nel 2023, il tasso di occupazione è pari, a un anno dal conseguimento del titolo, al 74,1% tra i laureati di primo livello e al 75,7% tra i laureati di secondo livello (-1,3 e -1,4 punti percentuali rispetto al 2022). Di diverso segno il dato sul tasso di occupazione dei laureati di primo livello a cinque anni dal conseguimento del titolo che, nel 2023, è pari al 93,6% e che risulta in aumento di 1,5 punti percentuali rispetto al 2022, raggiungendo così il più alto valore osservato in oltre un decennio.
Si registra invece un lieve calo dell’occupazione per i laureati di secondo livello a cinque anni dal titolo (-0,5 punti percentuali rispetto al 2022), tra i quali il tasso di occupazione è pari all’88,2%. « È opportuno sottolineare – si legge in una nota di AlmaLaurea – che per tutte le popolazioni in esame, i livelli occupazionali del 2023 rimangono più elevati, o in linea, rispetto a quelli osservati negli anni immediatamente precedenti la pandemia».
Ad influire, positivamente, sul conseguimento di un posto di lavoro coerente con il percorso di studi, sono anche le esperienze formative all’estero. Nel 2023, il 9,8% dei laureati ha maturato un’esperienza all’estero riconosciuta nel corso di laurea. Si tratta nella maggior parte dei casi (8,1%) di esperienze svolte con programmi dell’Unione europea (Erasmus in primo luogo), mentre le altre esperienze riconosciute dal corso di studio (Overseas, tesi all’estero ecc.) sono molto meno diffuse (meno del 2%). La valutazione dell’esperienza all’estero è molto elevata, con percentuali di soddisfazione che oltrepassano stabilmente negli ultimi anni il 95%. Inoltre, è da sottolineare come chi ha svolto un periodo di studio all’estero riconosciuto dal proprio corso di laurea ha maggiori probabilità di essere occupato rispetto a chi non ha mai svolto un soggiorno all’estero (+17,1%).
È interessante osservare, ancora, come rilevato da AlmaLaurea, che quanti decidono di spostarsi all’estero per motivi lavorativi sono tendenzialmente più brillanti (in particolare in termini di voti negli esami e di regolarità negli studi) rispetto a quanti decidono di rimanere in madrepatria. E anche le retribuzioni medie percepite all’estero sono notevolmente superiori a quelle degli occupati in Italia: complessivamente, i laureati di secondo livello trasferitisi all’estero percepiscono, a un anno dalla laurea, 2.174 euro mensili netti, +56,1% rispetto ai 1.393 euro di coloro che sono rimasti in Italia. A cinque anni dalla laurea il differenziale retributivo aumenta ulteriormente, sempre a favore degli occupati all’estero (2.710 euro; +58,7% rispetto ai 1.708 euro degli occupati in Italia). Andando ad approfondire i motivi del trasferimento, emerge che il 32% dei laureati di secondo livello a cinque anni dal conseguimento del titolo ha dichiarato di aver lasciato il nostro Paese avendo ricevuto un’offerta di lavoro interessante da parte di un’azienda che ha sede all’estero, cui si aggiunge un ulteriore 27,4% che si è trasferito all’estero per mancanza di opportunità di lavoro adeguate in Italia.
Un ulteriore elemento preso in considerazione dal Rapporto per valutare quanto la scelta di trasferimento all’estero sia o meno temporanea è relativo all’ipotesi di rientro in Italia. Complessivamente, il 38,4% degli occupati all’estero ritiene tale scenario molto improbabile e un ulteriore 30,5% poco probabile, quanto meno nell’arco dei prossimi cinque anni. Di contro, il 15,1% ritiene il rientro nel nostro Paese molto probabile. Infine, il 14,7% non è in grado di esprimere un giudizio.
«I dati sull’occupazione – sottolinea la nota di AlmaLaurea – vanno letti anche alla luce dell’evolversi di un diverso approccio dei laureati nei confronti della ricerca del lavoro. I dati evidenziano, infatti, una loro maggiore selettività: in particolare, i laureati sono sempre meno disponibili ad accettare lavori a basso reddito o non coerenti con il proprio percorso formativo. A un anno dal titolo, infatti, tra i laureati di primo e di secondo livello, non occupati e in cerca di lavoro, la quota di chi accetterebbe una retribuzione al più di 1.250 euro è pari, rispettivamente, al 38,1% e al 32,9%; tali valori risultano in calo, nell’ultimo anno, rispettivamente, di 8,9 e di 6,8 punti percentuali. Inoltre, si dichiara disponibile ad accettare un lavoro non coerente con gli studi il 76,9% dei laureati di primo livello e il 73% di quelli di secondo livello; anche in tal caso si tratta di valori in calo, nell’ultimo anno, rispettivamente di 5,9 e di 3 punti percentuali».
Rispetto alle caratteristiche del lavoro svolto, è importante evidenziare l’aumento dei livelli di efficacia della laurea, che combina l’utilizzo, nel lavoro, delle competenze acquisite all’università e la richiesta, formale e sostanziale, del titolo per l’esercizio della propria attività. Tra i neolaureati il titolo è «molto efficace o efficace» per il 61,7% degli occupati di primo livello e per il 69,5% di quelli di secondo livello (valori in aumento, nell’ultimo anno, rispettivamente di 2,4 punti percentuali e di 0,8 punti). A cinque anni dal titolo i livelli di efficacia si attestano, rispettivamente, al 69,4% e al 75,7% degli occupati di primo e di secondo livello (rispettivamente, +1,8 punti percentuali e +3,0 punti, nell’ultimo anno); tale andamento conferma il trend di lento miglioramento registrato negli ultimi anni, tanto da raggiungere nel 2023 i più alti livelli di efficacia osservati nel periodo in esame. «Dal rapporto emerge un messaggio chiaro e fondamentale: laurearsi conviene – sottolinea il presidente di AlmaLaurea, Ivano Dionigi –. Infatti i laureati hanno sia più possibilità occupazionali sia maggiori retribuzioni economiche rispetto ai diplomati. Tra le criticità, accanto al ruolo ancora prevalente della famiglia nella scelta universitaria, si deve registrare un duplice divario, geografico e di genere: quello tra Nord/Sud (dal Mezzogiorno si emigra al Nord per iscriversi all’università e ancor più massicciamente per trovare lavoro dopo la laurea) e quello tra uomini e donne, le quali, pur essendo più performanti nel curriculum di studi, risultano svantaggiate nella retribuzione, nella carriera e nella mobilità».
Sui cambiamenti intervenuti, negli ultimi anni nel mondo del lavoro e nella visione che di esso hanno i giovani, si sofferma la direttrice di AlmaLaurea, Marina Timoteo: «Le indagini ci dicono che la visione del lavoro per i giovani che escono dalle nostre università è profondamente cambiata negli ultimi anni. Oggi hanno sempre maggiore rilevanza aspetti un tempo ritenuti secondari: il tempo libero, la flessibilità dell’orario di lavoro, il grado di autonomia, la qualità delle relazioni con i colleghi, l’essere partecipe di processi lavorativi che generano utilità sociale. I giovani hanno sempre più chiara la visione di una vita qualitativamente e non solo quantitativamente intesa», conclude Timoteo.
Paolo Ferrario
Avvenire, 13 luglio 2024