Sono tutti giovani fra i 24 e i 27 anni, 41 fra ragazzi e ragazze; arrivano dalle principali città siriane, Damasco, Aleppo, Homs, e dai molti villaggi che dal 2011 vivono l’incubo di una guerra che ancora non vuole cessare. Sono arrivati in Italia grazie a un singolare 'corridoio umanitario', di tipo universitario, nato dall’amicizia fra un monaco della comunità siriana di Deir Mar Musa, padre Jacques Mourad, e il rettore dell’Università Cattolica, Franco Anelli. Nabil (i nomi sono di fantasia) e Charbel sono due 'new entry', entrambi di Homs, sbarcati a Malpensa venti giorni fa. Per loro e gli altri colleghi si sono aperte le porte degli atenei milanesi: in primis la Cattolica e, a ruota, il Politecnico e la Statale, per un totale di quattordici studenti; poi l’ateneo del Piemonte Orientale, Genova, Brescia e Cagliari, che garantiscono una borsa di studio e un posto nel pensionato per conseguire la laurea magistrale. Nabil, che ha 26 anni, è iscritto a informatica, mentre Charbel, che di anni ne ha 24, frequenta il master in Gestione economica dell’ambiente e dell’alimenta- zione, dopo la laurea triennale in Agraria nel suo Paese.
Per nessuno di loro le cose sono facili: paese nuovo, lingua sconosciuta e tanti problemi burocratici per ottenere tutti i documenti e studiare serenamente. Sono gli amici che vivono a Milano da più tempo a tendere una mano ai nuovi arrivati. Come Johnny, 25 anni, che studia matematica in Statale e vive da aprile in una famiglia milanese che gli ha offerto ospitalità, oppure Michel, 27 anni, calciatore, arrivato a Milano con il primo gruppo di cinque studenti nel 2016, che presto conseguirà la laurea magistrale in Scienze motorie con una specializzazione in didattica e tecnica delle attività motorie preventivo-chirurgiche. E attorno ai ragazzi, grazie all’associazione 'Amici di Deir Mar Musa' e all’instancabile lavoro di Marina Villa, docente in Cattolica, si è creata una ricca rete di solidarietà formata da famiglie che aiutano e sostengono gli studenti nelle loro esigenze, sia concrete sia di ospitalità.
«Noi giovani siamo tutti cristiani – spiega Michel – e nella nostra esperienza non facciamo alcuna separazione fra cattolici e ortodossi. Siamo nati in un Paese bellissimo dove si viveva in pace». Ma la guerra ha cambiato tutto e sono dovuti scappare. Il loro punto di riferimento, quello che ha consentito il viaggio della speranza in Italia, è la comunità di Mar Musa: nel monastero del deserto siriano, fondato da padre Paolo Dall’Oglio, hanno fatto esperienza di volontariato, di lavoro, di preghiera.
E mercoledì sera, al Centro Pime di Milano, hanno vissuto un momento di grande intensità umana e spirituale incontrando e pregando con uno dei padri siriani, Jhad Youssef. «Per la nostra comunità – ha detto il monaco, rivolgendosi alle famiglie che accolgono i giovani – l’impegno per l’educazione è una delle priorità; per questo abbiamo avviato il progetto, per consentire a giovani dotati, con famiglie prive di mezzi, di partire e completare la propria preparazione professionale in Italia. Loro sono la speranza della Siria».
«Siamo grati di questa opportunità, felici di essere in Italia a studiare», raccontano Nabil e Charbel, anche se non nascondono la preoccupazione per ciò che li attende. Ma la voglia di riuscire nell’impresa è tanta. Sempre con il cellulare in mano trovano l’aiuto del traduttore per comunicare al meglio con le famiglie italiane e per affrontare uno studio decisamente impegnativo: «Le lezioni in università sono in inglese, ma spesso i testi che dobbiamo studiare sono in italiano, ed è molto difficile per noi perché dobbiamo tradurre in arabo i concetti e poi esprimerci in inglese ».
Maria Teresa Antognazza
Avvenire Milano, 25 ottobre 2019