«Inclusione non è solo apprendimento ma anche partecipazione sociale: sentirsi parte di un gruppo», ricorda Dario Ianes, docente di pedagogia e didattica speciale alla Libera università di Bolzano. E nei giorni della didattica a distanza, è proprio questa la parte di scuola più difficile da garantire agli alunni disabili e che richiede uno sforzo maggiore, anche di fantasia. La soluzione potrebbe essere quella di costruire «piccole cordate» di alunni, comprendendo sia studenti normodotati che disabili, spiega il docente e co-fondatore del Centro studi Erickson di Trento, che mette a disposizione di scuole e insegnanti Dida-Labs, piattaforma gratuita per una didattica a distanza inclusiva. «L’idea – riprende Ianes – è responsabilizzare tutto il gruppo classe intorno all’obiettivo di includere nell’aula virtuale anche i compagni più fragili, quelli che fanno più fatica a tenere il passo, soprattutto in questa situazione di emergenza. Da qui – sottolinea – la proposta della cordata, di un legame tra pari che si fonda sul sostegno reciproco. In questo senso, per esempio, gli alunni normodotati possono essere coinvolti dai docenti nella produzione di materiale dedicato ai compagni disabili».
Mutuata dal mondo dell’alpinismo, l’immagine della cordata ha in sé anche il concetto, importante, del dare e ricevere sicurezza. «Quando si scala una parete in cordata – ricorda il docente montanaro – si ha la certezza che il compagno c’è anche quando sparisce dietro una cornice o un risalto di roccia. Non lo vedo ma avverto la sua presenza attraverso la tensione della corda che ci unisce. Lo stesso può essere fatto nella cordata di una classe virtuale, con gli alunni che si prendono cura l’uno dell’altro, privilegiando chi, in questa fase, può correre il rischio di restare indietro. Non si vedono ma sanno che possono contare l’uno sull’altro. Questo è, allora, il momento giusto per recuperare la dimensione sociale della scuola».
Una seconda cordata è quella composta da insegnanti curricolari e docenti di sostegno, che, insieme agli educatori per l’autonomia e la comunicazione, «sono stati un po’ messi da parte e, invece, sono assolutamente centrali», ribadisce Ianes.
Docenti curricolari, insegnanti di sostegno e Aec, infine, «si devono prendere del tempo per contattare le famiglie, che sono in grave difficoltà e far sentire loro la presenza della scuola, anche in questo momento», aggiunge l’esperto di inclusione e didattica speciale. «Anche i genitori hanno bisogno di sentirsi in cordata – conclude Ianes –. Questa circostanza può anche essere l’occasione per riprendere in mano il Pei, il Piano educativo individualizzato, che può essere rivisto e riadattato alle circostanze». Per sviluppare autonomia e rafforzare l’alleanza educativa. Anche al tempo del coronavirus.
Paolo Ferrario
Avvenire, 18 marzo 2020