Rinnovamento ecclesiale; protezione e tutela dei minori e delle persone vulnerabili; ascolto, accoglienza e accompagnamento delle vittime; responsabilizzazione comunitaria e formazione degli operatori pastorali; formazione dei candidati agli ordini sacri e alla vita consacrata; giustizia e verità; collaborazione con la società e le autorità civili; trasparenza e comunicazione. Sono questi i principi guida in cui la Chiesa italiana si riconosce per l’elaborazione delle Linee Guida per la Tutela dei minori e delle persone vulnerabili della Conferenza episcopale italiana e della Conferenza italiana dei superiori maggiori .
Il testo, pubblicato oggi, è stato approvato nel corso dei lavori dell’ultima Assemblea generale della Cei (20-23 maggio) ed è composto da una Premessa, dove si elencano e si analizzano i principi guida, da dettagliate indicazioni operative e una serie di allegati. Le Linee guida, si legge, si applicano “a tutti coloro che operano, a qualsiasi titolo, individuale o associato, all’interno delle comunità ecclesiali in Italia” e “compatibilmente al diritto proprio e alla normativa canonica, a tutti gli Istituti di Vita Consacrata e Società di Vita apostolica, nella misura in cui questi non dispongano di proprie Linee guida”.
“Qualsiasi abuso sui fanciulli e sui più vulnerabili, ancor prima di essere un delitto, è un peccato gravissimo, ancor più se coinvolge coloro ai quali è affidata in modo particolare la cura dei più piccoli”, scrivono i vescovi nella Premessa. Per questo motivo “la Chiesa cattolica in Italia intende contrastare e prevenire questo triste fenomeno con assoluta determinazione”.
Il primo principio di base, il rinnovamento ecclesiale, prende le mosse dalla “Lettera al popolo di Dio” di papa Francesco del 20 agosto 2018 e ribadisce che “tutta la comunità è coinvolta nel rispondere alla piaga degli abusi non perché tutta la comunità sia colpevole, ma perché di tutta la comunità è il prendersi cura dei più piccoli”. Per questo, “è richiesto un rinnovamento comunitario, che sappia mettere al centro la cura e la protezione dei più piccoli e vulnerabili come valori supremi da tutelare”.
È necessario “dare il giusto e dovuto ascolto alle persone che hanno subito un abuso e trovato il coraggio di denunciare”, in tal senso “la vittima va riconosciuta come persona gravemente ferita e ascoltata con empatia, rispettando la sua dignità”. Una priorità che “è già un primo atto di prevenzione perché solo l’ascolto vero del dolore delle persone che hanno sofferto questo crimine ci apre alla solidarietà e ci interpella a fare tutto il possibile perché l’abuso non si ripeta”. Un processo cui è chiamata e responsabilizzata tutta la comunità, una “missione”, in cui “ciascuno può e deve fare la sua parte”.
Per quanto riguarda il cammino formativo e alla professione religiosa di seminaristi e candidati alla vita presbiterale e consacrata, è richiesta “una grande prudenza nei criteri di ammissione” con “grande attenzione” anche per la formazione permanente.
Sicuramente, poiché “la Chiesa ricerca la verità e mira al ristabilimento della giustizia”, “nessun silenzio o occultamento può essere accettato in tema di abusi”.Per queste ragioni, prosegue il testo, “le procedure canoniche vanno rigorosamente rispettate: esse non hanno lo scopo di sostituirsi all’autorità civile, bensì quello di perseguire l’accertamento della verità e il ristabilimento della giustizia all’interno della comunità ecclesiale anche, in quei casi in cui determinati comportamenti non siano considerati reati per la legge dello Stato, ma lo sono per la normativa canonica”.
Accanto alla “collaborazione con l’autorità civile”, si inserisce il valore della trasparenza nelle comunicazioni e “di un’informazione corrispondente alla verità, che sappia evitare strumentalizzazioni e parzialità”.
Le indicazioni operative delle Linee guida si soffermano sui diversi aspetti procedurali e concreti, che partono dall’ascolto, accoglienza e accompagnamento delle vittime e affrontano il problema della selezione, formazione e accompagnamento degli operatori pastorali e del clero.
Il capitolo 5 è quindi interamente dedicato alla trattazione delle segnalazioni di presunti abusi sessuali nei confronti di un minore o di una persona vulnerabile, commessi in ambito ecclesiale da chierici o membri di Istituti di vita consacrata o di Società di vita apostolica. La norma è dirimente: “chiunque abbia notizia della presunta commissione in ambito ecclesiale di abusi sessuali nei confronti di minori o persone vulnerabili è chiamato a segnalare tempestivamente i fatti di sua conoscenza alla competente autorità ecclesiastica, a tutela dei minori e delle persone vulnerabili, della ricerca della verità e del ristabilimento della giustizia, se lesa”. La segnalazione va presentata e accolta dall’Ordinario. E ancora: “La segnalazione non solo non esclude, ma neppure intende ostacolare la presentazione di denuncia alla competente autorità dello Stato, che anzi viene incoraggiata”.
Per quanto riguarda le procedure canoniche in caso di presunto abuso sessuale commesso da parte di chierici nei confronti di minori, la descrizione delle procedure è dettagliata e parte dal principio che “nel suo discernimento il Vescovo o il Superiore competente terrà presente il primario interesse della sicurezza e tutela del minore”.A tal fine, “ferma restando la presunzione di innocenza dell’accusato fino alla condanna definitiva e la valutazione di ogni singolo caso concreto, il Vescovo o il Superiore competente, per prevenire gli scandali, tutelare la libertà dei testi e garantire il corso della giustizia, possono proibire all’accusato l’esercizio del ministero e di ogni attività pastorale con minori, allontanare l’accusato dal ministero sacro o da un ufficio e compito ecclesiastico, imporgli o proibirgli la dimora in un determinato luogo”.
Il chierico ritenuto colpevole degli abusi sarà comunque “accompagnato nel suo cammino di responsabilizzazione, richiesta di perdono e riconciliazione, riparazione, cura psicologica e sostegno spirituale”.
Nei rapporti con le autorità civili viene introdotto il principio secondo cui “l’autorità ecclesiastica ha l’obbligo morale di procedere all’inoltro dell’esposto all’autorità civile”. Non si procederà però a presentare l’esposto “nel caso di espressa opposizione” da parte della vittima (se nel frattempo divenuta maggiorenne), dei suoi genitori o dei tutori legali.
Per quanto riguarda informazione e comunicazione, l’istituzione ecclesiale è invitata a diventare “protagonista della comunicazione, assumendola con convinzione, attenta a rispondere alle legittime domande di informazioni, senza ritardi o silenzi incomprensibili”.
Importante e fondamentale il ruolo dei Servizi ecclesiali a tutela dei minori – nazionale, diocesano e interdiocesano – per “aiutare a diffondere una cultura della prevenzione, strumenti di formazione e informazione, oltre che protocolli procedurali”.
Sir, 27 giugno 2019