UFFICIO NAZIONALE PER L'EDUCAZIONE, LA SCUOLA E L'UNIVERSITÀ
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Studiare in oratorio

Il vescovo ausiliare di Genova, Nicolò Anselmi: «Il doposcuola si impone come nuovo patto educativo Chiesa-famiglie»
26 Febbraio 2018

«C’è uno spazio nuovo che si va creando in oratorio: lo studio assistito o, con un termine che viene dal passato, il doposcuola». È in questo snodo fra tempo libero e necessità del quotidiano che il vescovo ausiliare di Genova, Nicolò Anselmi, 56 anni, tratteggia il ruolo che l’oratorio sta assumendo nella società italiana.

Forte della sua esperienza di responsabile del Servizio nazionale per la pastorale giovanile, incarico che ricoprì per cinque anni fino al 2012, vede in questa richiesta «una modalità che struttura le giornate di bambini e ragazzi, perché studiare insieme stimola sia l’apprendimento che la fase formativa. Credo molto nel valore della scuola, ma sono pure convinto che le ore passate in aula vadano integrate con altri momenti di socializzazione. Fare i compiti in questo modo, con persone più adulte che ti pongono delle domande, educa a rispondere e all’essere valutato. E qui è insita una potenzialità grande, perché ciò che a volte non è possibile in famiglia viene preso in carico dalla comunità cristiana, che così si fa davvero comunità educante». In verità all’oratorio non s’inventa nulla rispetto al secolare cammino tracciato da san Filippo Neri e da san Giovanni Bosco: semmai si aggiorna il percorso in base alle esigenze odierne. «La conoscenza dei ragazzi – riprende monsignor Anselmi – qui avviene secondo una prospettiva originale, che è quella della scoperta dei talenti in chiave vocazionale, che poi è la volontà di Dio su ognuno di noi.

Più volte, confrontandomi con amici e collaboratori, mi sono reso conto di come l’oratorio svolga una funzione di orientamento verso scelte di studio o lavorative, correggendo spinte che sono più il frutto di mode o di pressioni piuttosto che di un’adeguata riflessione». Il cortile dell’oratorio è però anche un luogo di socializzazione naturale, dove la conoscenza è priva di mediazioni: un modo che aiuta l’integrazione delle famiglie straniere e dà una mano alla prevenzione. «Le cronache abbondano di casi legati a dipendenze, con conseguenze spesso devastanti: esistenze buttate alla riconcorsa di falsi miti o di effimere ricerche di felicità. Invece un oratorio che riempie la vita con cose sane, offrendo un’acqua pura, impedisce che ci si vada ad abbeverare a fonti inquinate. E questo è un grande servizio che mettiamo a disposizione sia delle giovani generazioni che di noi stessi, perché essere presenti è un atto di carità, una possibilità grandiosa del dono di sé, da cui si riceve molto più di quanto si è dato».

Stile di comunità e rapporti fra generazioni: è questa allora la domanda, forse inconscia ma pressante, che pone l’Italia del Duemila? «Da parte delle famiglie, e malgrado le apparenze, la richiesta di un’alleanza educativa con altre realtà è forte. E tra queste realtà c’è la Chiesa, di cui l’oratorio rappresenta quel luogo dove i figli possono vivere una dimensione piacevole, inserita nei ritmi ordinari della giornata. Non è più la richiesta del tempo in cui le mamme non lavoravano, quando le disponibilità erano diverse. Ai ritmi attuali servono spazi di semplicità ma pure di possibilità molteplici. L’oratorio è una risposta interessante, decisiva durante i mesi estivi dei Grest».

Stefano Di Battista

Avvenire, 22 febbraio 2018