Esiste una definizione di cittadino? In questa domanda, apparentemente banale, risiede parte dell’esistenza di tutti noi e, soprattutto, di 1.101.089 di minori stranieri nati in Italia al gennaio 2023 (11% dei giovani, secondo demo.istat), da non confondersi però con i migranti minori non accompagnati che sono “solo” 23.789 e in maggioranza Ucraini. Ne abbiamo parlato nella “Cattedra dei giovani”, iniziativa che quest’anno si concentrerà sulla dicotomia libertà-responsabilità alla luce della dottrina sociale della Chiesa.
Il primo incontro si è tenuto lo scorso 25 novembre 2023 nel Dipartimento di Giurisprudenza, in collaborazione con la Pastorale universitaria (Uniamo) e ha trattato il “Diritto alla cittadinanza”.
Nella sua introduzione, l’arcivescovo Erio Castellucci ha evidenziato come bisogna affrontare il tema in maniera scientifica senza slogan o sentimenti. Infatti, secondo una ricerca dell’Istituto Giuseppe Toniolo, in Italia gli stranieri sono percepiti come il 20-30% della popolazione e in prevalenza di fede musulmana, quando sono l’8-9% e per meno della metà professanti l’Islam.
Ha partecipato anche Benedetta Rossi, del Centro interdipartimentale di ricerca su discriminazioni e vulnerabilità (Crid) dell’Unimore, che nel suo intervento ha illustrato il tema alla luce della giurisprudenza contemporanea. Successivamente ci si è divisi in gruppi e, dopo un confronto, sono emerse alcune domande che sono state poi rivolte a Rossi. Per fare una sintesi di quanto discusso, l’Italia regola l’accesso alla cittadinanza tramite la legge 91 del 1992, spesso riassunta nel termine di Ius sanguinis (diritto di sangue, per cui è cittadino di uno Stato colui che nasce da padre o madre in possesso di tale cittadinanza, ndr). Legge messa in discussione dai profondi cambiamenti che la società italiana ha attraversato nell’ultimo decennio. Per i giovani con un retroterra migratorio, l’assenza della cittadinanza conferita in virtù dello Ius Soli (diritto del suolo, che prevede l’acquisizione della cittadinanza previa nascita nel territorio dello Stato, ndr.), limita indirettamente alcune possibilità come un affitto o un lavoro, causa rallentamenti burocratici o ritrosie da parte di chi offre quella possibilità.
Tuttavia, non esiste una soluzione univoca. Nè lo Ius soli nè lo Ius sanguinis sono pienamente implementate in nessun ordinamento giuridico nazionale. Nella maggioranza degli Stati si usa o l’una o l’altra, in specifiche circostanze. In questa polarità, lo Ius scholae potrebbe aiutare a rispondere all’esigenza di questo milione e mezzo di ragazzi, anche se servirebbe un cambiamento di mentalità che va oltre le leggi. Tante sono le riflessioni e domande aperte.
Ci saranno altri momenti di confronto della “Cattedra dei giovani”, perché la paura non offuschi più chi è alla ricerca della verità.
Alberto Avallone
Nostro Tempo, 3 dicembre 2023