Sono passati da un po’ i centocinquant’anni dall’unificazione italiana e il problema della scuola è sempre lì, in cima all’agenda dei diversi governi. E non per motivi oziosi. Parlare di istruzione pubblica significa parlare delle future generazioni e delle competenze acquisite dai futuri cittadini. Insomma parlare di istruzione pubblica significa parlare del futuro del paese. Ma anche ideare un sistema garante delle pari opportunità di successo a tutti i bambini e adolescenti dell’Italia. Problema non risolto se ancora oggi, nel 2019, si continua a parlare di due Italie che dovrebbero essere riallineate come se ne parlava già nel 1911, a ridosso del cinquantennale dell’unità d’Italia. Per riallinearle occorre lavorare, già allora, per “L’educazione degli italiani”, come recita il titolo dell’ultimo libro di Giorgio Chiosso (il Mulino, pagine 302, euro 22,00).
Nel 1901 gli analfabeti del giovane Regno rappresentavano circa il 50 per cento degli italiani e i bambini che sfuggivano all’obbligo scolastico erano ancora un terzo. Occorreva correre ai ripari e individuare nuove strategie per rendere più efficace la politica scolastica. Tra epoca giolittiana e primo dopoguerra si scontrarono due grandi visioni di politiche educative e due grandi visioni del fare nazione. Le incarnarono due altrettanto grandi protagonisti, latori di visioni e progetti antitetici, Luigi Credaro e Giovanni Gentile. Entrambi cultori di interessi pedagogici, entrambi ministri dell’istruzione ed entrambi artefici di due imponenti riforme del sistema scolastico, rispettivamente del 1911 e del 1923.
Ministro tra il 1910 e il 1914, Credaro era un orgoglioso valtellinese, concreto e pratico, ma non per questo sprovveduto. Studiò filosofia al Collegio Ghisleri di Pavia, poi a Lipsia a fianco di Wilhelm Wundt fino a diventare docente di storia della filosofia all’università pavese. Nel corso del suo cammino maturò l’idea che la scuola dovesse essere “utile”, estranea cioè a tutte quelle che nel clima positivistico dell’epoca si ritenevano astruserie metafisiche. Essa doveva essere «una costola del progresso», funzionale alla modernizzazione del paese attribuendo grande importanza alla cultura scientifica e tecnologica. Per debellare l’analfabetismo, per Credaro occorreva fare aggio su un’ampia schiera di maestri in grado dimettere in campo pratiche didattiche ben meditate, frutto non di fumisterie idealistiche ma esito di una riflessione empirico-sperimentale, come gli avevano insegnato due maestri, pur diversi, come Herbart e Romagnosi.
Di ben altra visione era Giovanni Gentile, proveniente invece dalla piccola borghesia siciliana. Non che a lui sfuggissero i profondi cambiamenti in atto con la modernizzazione e la necessità di fronteggiarli anche con il contributo della formazione scolastica. Quest’ultima però non poteva essere condizionata dall’idea di un progresso scandito dalle leggi della scienza e dell’economia. Il positivismo non ba- stava a forgiare, per Gentile, la vita della nazione. Se produzione e tecnologia avessero impresso il loro sigillo sulla coscienza essa si sarebbe ridotta a puro materialismo. La superiorità delle spirito sarebbe stato possibile solo se la coscienza di ognuno fosse stata formata alla luce dell’unità spirituale della nazione. Solo mediante una forte coscienza ideale, rafforzata dallo studio di filosofia, storia e letteratura sarebbe stato possibile organizzare l’educazione degli italiani senza precipitare nel vieto materialismo.
L’avversione per le scienze non nasce da un pregiudizio ma da una critica al positivismo dei cui eccessi se ne era già fatto carico, qualche decennio prima, Antonio Labriola che lo considerava foriero di una nuova, seppur adombrata, metafisica del fatto concreto. Tuttavia a Giovanni Gentile e ai suoi più vicini sodali, come Ernesto Codignola e Giuseppe Lombardo Radice, sfuggono i guadagni apportati dalle nascenti scienze umane. Psicologia, sociologia, pedagogia potevano fornire un contributo se non fossero state appiattite sulla metodologia positivista, di cui Credaro poteva considerarsi un continuatore benché non un epigono.
I modelli di riforma proposti da Credaro e da Gentile confliggevano tra loro retti com’erano da due diverse idee di Italia ma entrambi erano volti entrambi al superamento delle due Italie icasticamente rappresentate dalla coppia tra paese legale e paese reale. A distanza di un secolo il problema si ripropone scontrandosi, sull’idea di scuola, diverse visioni per superare la persistente condizione delle due Italie.
Simone Paliaga
Avvenire, 27 aprile 2019