UFFICIO NAZIONALE PER L'EDUCAZIONE, LA SCUOLA E L'UNIVERSITÀ
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Si parte, il possibile effetto Ius Scholae

Lo Svimez: «Alle elementari 48mila nuovi italiani»
10 Settembre 2024

In questi giorni di ripresa delle lezioni - ieri sono tornati tra i banchi gli studenti della Provincia autonoma di Trento, preceduti giovedì scorso da quelli dell’Alto Adige e seguiti, tra domani e lunedì prossimo, a seconda dei calendari regionali, dalla restante parte dei circa 8 milioni di alunni italiani - a tenere banco è ancora la questione dello Ius Scholae. Un tema su cui si sta consumando l’ennesimo scontro politico, anche all’interno dei partiti della maggioranza di governo e che, invece, andrebbe maneggiato con cura. Per scoprire la vera partita in gioco, che riguarda direttamente il futuro non soltanto della scuola ma dell’intero Paese.

Un’analisi approfondita degli effetti dello Ius Scholae - pensato per conferire la cittadinanza ai minori stranieri, nati in Italia o arrivati prima dei 12 anni, che hanno frequentato regolarmente almeno cinque anni di studio nel nostro Paese - è stata diffusa ieri dalla Svimez, l’Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno. Secondo lo studio, nel 2024 circa 48mila bambini della scuola elementare potrebbero acquisire il diritto alla cittadinanza italiana. Oltre 1 su 4 risiede in Lombardia, il 12,8% in Emilia-Romagna, l’11,6% in Veneto e solo il 12,5% in tutto il Sud (dove è presente il 35,3% degli alunni della primaria). Complessivamente, i minori stranieri che frequentano la scuola primaria, secondo i dati del Ministero dell’Istruzione e del Merito, sono 315.906: il 14% degli iscritti (i dati si riferiscono alla primaria statale e non includono la Valle d’Aosta e le Province Autonome di Trento e Bolzano). Di questi, 4 su 5 provengono da un paese extracomunitario e circa il 70% sono nati in Italia.

«Lo Ius Scholae – sottolinea il direttore generale della Svimez, Luca Bianchi – rappresenta un atto necessario di uguaglianza sociale nei confronti di bambini e ragazzi ai quali non è riconosciuto lo status giuridico di cittadini italiani pur condividendone cultura, educazione e appartenenza. La riforma è anche un’opportunità concreta per costruire una società più inclusiva e coesa, che investe sull’accoglienza per il futuro del Paese. Legare l’acquisizione dei diritti di cittadinanza al completamento di un ciclo di studi – ricorda Bianchi – potrebbe incentivare la permanenza in Italia dei giovani con background migratorio e delle loro famiglie, contribuendo a ringiovanire la popolazione, contenere la riduzione delle iscrizioni nelle scuole e la conseguente chiusura dei presidi scolastici», conclude.

Sarebbe proprio questo l’effetto più importante (o tra i più importanti) della riforma, qualora passasse. In Italia, sono circa 3mila i Comuni (il 38% del totale), che hanno una sola piccola scuola elementare (cioè, con meno di 125 alunni), localizzati nella maggior parte dei casi nelle aree interne delle diverse regioni. In questo contesto, si legge nel rapporto della Svimez, i bambini stranieri che frequentano l’unica piccola scuola del proprio comune sono circa 20mila, il 10,6% degli alunni (610 anni) residenti. Le differenze territoriali si confermano anche in questa tipologia di comuni: tutte le regioni del Centro-Nord presentano una quota di alunni stranieri superiore al 10% (unica eccezione il Friuli-Venezia Giulia). Nel Mezzogiorno, il dato cala in media a 5 bambini stranieri su 100 alunni, in Sardegna a 2,5.

«Lo Ius Scholae – spiega sempre la Svimez – potrebbe contribuire a scongiurare la chiusura di molte piccole scuole, assicurando continuità a un presidio culturale primario che, oltre a sviluppare le opportunità formative di bambini e giovani, consente di arginare i processi di spopolamento e invecchiamento. L’istruzione – prosegue il Rapporto – rappresenta un servizio essenziale la cui qualità e capillarità sono condizioni imprescindibili per uno sviluppo socialmente e territorialmente inclusivo, specialmente per le aree più deboli e remote. La granularità territoriale dell’offerta scolastica contribuisce a neutralizzare la condizione di svantaggio delle periferie, salvaguardando le comunità che le abitano».

Per ottenere questo risultato, avverte la Svimez, «occorre ribaltare la percezione comune di un pericolo immigrazione, inserendo a pieno titolo le politiche di inclusione come parte integrante di un progetto che, attraverso il miglioramento dei servizi pubblici e l’accompagnamento alla localizzazione di attività produttive, riduca l’emigrazione dei giovani e favorisca l’attrazione di nuove famiglie».

Paolo Ferrario

Avvenire, 10 settembre 2024