UFFICIO NAZIONALE PER L'EDUCAZIONE, LA SCUOLA E L'UNIVERSITÀ
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Senza diploma (e senza futuro)

L’Italia che non finisce la scuola: Il Rapporto Plus 2022 dell’Inapp ricorda che «senza formazione crescono le diseguaglianze»
27 Febbraio 2023

Nel mondo del lavoro che cambia la formazione diventa una leva sempre più necessaria per intercettare le “nuove” occupazioni, ma coinvolge ancora una fetta troppo limitata di popolazione. Una situazione che, paradossalmente, riguarda di più chi non ha un lavoro di coloro che un posto ce l’hanno e, magari, vorrebbero cambiarlo. In generale, si legge nelle anticipazioni del rapporto Plus 2022 dell’Inapp, che sarà presentato il 7 marzo, quello degli italiani con i percorsi scolastici è un rapporto ancora abbastanza accidentato.

Realizzata su un campione di 45mila persone tra i 18 e i 74 anni, l’indagine dell’Istituto per l’analisi delle politiche pubbliche, mette in fila i “numeri” su cui si dovrà, prima o poi, intervenire. E quindi: ben 11,7 milioni di italiani – si legge nel Rapporto – non si sono mai iscritti alla scuola secondaria superiore, quasi 4 milioni si sono fermati nel loro percorso di istruzione senza conseguire un diploma di scuola secondaria di secondo grado. Sono più uomini (62%) che donne (38%). A fronte di quasi 11 milioni di cittadini che, acquisito il diploma, non hanno proseguito gli studi, esistono 5 milioni di diplomati che si sono iscritti a percorsi universitari senza portarli a termine. Con, osservazione non secondaria, un dispendio di tempo e di risorse assai significativo.

«Sono dati che dovrebbero far riflettere – commenta il presidente dell’Inapp, Sebastiano Fadda – perché mostrano da un lato l’incapacità del sistema formativo di, per così dire, “trattenere” fino al compimento degli studi coloro che li hanno intrapresi, e d’altro lato le debolezze e le incertezze di coloro che decidono di abbandonare i percorsi iniziati. Entrambi i fenomeni richiedono interventi specifici perché nuocciono all’accumulazione di quel “capitale umano” che è necessario per spingere verso l’alto il livello di qualificazione della nostra forza lavoro e anche il livello di inclusione e di coesione sociale».

Perché il rischio, paventato da Fadda, è che, «senza una adeguata formazione, le diseguaglianze già in atto continuino ad aumentare, marcando in modo considerevole chi ha gli strumenti per andare avanti e chi invece è destinato ad essere espulso dal mondo del lavoro». E questo, soprattutto pensando ai nuovi lavori, legati allo sviluppo del digitale e dell’economia verde, settori verso i quali saranno fortemente orientate le risorse del Pnrr. Ma che, nella situazione attuale, vedranno milioni di persone tagliate fuori dall’incontro tra domanda e offerta di lavoro che stenta ancora a fare quel «salto di qualità», osserva Fadda, che sarebbe necessario e che dovrebbe far leva, appunto sulla formazione.

Il Rapporto Plus, invece, evidenzia come, ancora oggi, «il 41% della popolazione tra 18 e 74 anni ha al massimo la licenza media (17,7 milioni di persone) », scrivono i ricercatori dell’Inapp. Inoltre, la partecipazione ad attività formative coinvolge appena circa il 19% del totale delle persone tra i 18 e i 74 anni. Nel dettaglio, la formazione interessa meno chi non ha un lavoro rispetto agli occupati, in controtendenza con il resto d’Europa. Meno di 12 persone in cerca su 100 hanno seguito uno o più corsi di formazione e solo il 4,5% degli inattivi. Sempre con riferimento a chi non ha un lavoro, per gli uomini si osservano livelli di partecipazione a corsi di formazione quasi doppi rispetto alle donne. La partecipazione ad attività formative degli occupati è invece superiore al 17%, molto simile tra donne e uomini. È più alta nelle classi d’età più mature e aumenta al crescere del titolo di studio (il 45% dei laureati ha fatto almeno una attività formativa). La formazione degli occupati cresce inoltre all’aumentare della dimensione d’impresa ed è particolarmente elevata per il settore servizi (38%).

Paolo Ferrario

Avvenire, 26 febbraio 2023