UFFICIO NAZIONALE PER L'EDUCAZIONE, LA SCUOLA E L'UNIVERSITÀ
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Se il discorso d’odio diventa normalità

I dati dell’osservatorio Mediavox dell’Università Cattolica
29 Marzo 2022

Sarebbe illegale, l’hate speech. Nel caso di Internet, le policy delle grandi piattaforme (Facebook, Twitter, Instagram, YouTube, Google, Tik Tok e altre) vietano i contenuti discriminatori: se intercettati, vengono rimossi. Nella realtà questo non accade o, peggio, non basta. Perché gli odiatori da tastiera, costretti a celarsi per non incorrere nei divieti di legge, mimetizzano i propri messaggi in discorsi privi di contesto, li mascherano con un linguaggio ordinario. Oppure, più semplicemente, dei divieti se ne infischiano col risultato di una inaccettabile normalizzazione del discorso d’odio. Quella che sui social network è sotto gli occhi di tutti.

Sono dati e modalità agghiaccianti quelli relativi all’hate speech presentati ieri al convegno organizzato dall’Osservatorio Mediavox dell’Università Cattolica con l’Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali (Unar) e la Fondazione Centro di documentazione ebraica contemporanea (Cdec). «Sui social viene favorita la radicalizzazione e la polarizzazione e sempre più l’antisemitismo in forma di “opinione”, di negazione o di derisione viene legittimato – ha spiegato la coordinatrice nazionale per la lotta contro l’antisemitismo della Presidenza del Consiglio dei ministri Milena Santerini –. Nelle conversazioni quotidiane, nei luoghi comuni, nelle prese in giro, nei commenti estemporanei, specie contro Israele o le “cospirazioni ebraiche” si diluisce un antisemitismo raramente rimosso dalle piattaforme. Quando lo è, i gruppi organizzati si trasferiscono sulle piattaforme più piccole e periferiche dove tutto è permesso». Gli odiatori di oggi usano gli stessi schemi: la ripetizione (nel Mein Kampf, per altro, Hitler spiega che per convincere il popolo occorre comunicare pochi contenuti essenziali, da ripetere continuamente); la manipolazione emotiva (contenuti che eccitano all’indignazione o alla paura); l’uso dei meme e delle tecniche di disumanizzazione (paragoni con animali, organismi come batteri ecc...).

L’Osservatorio ha studiato, nell’ambito del progetto, 15 profili rappresentativi dell’antisemitismo contemporaneo presenti nel web con siti o account dei social media: hanno in comune una visione paranoica e complottista del mondo (persino il Covid sarebbe stato diffuso dagli ebrei), il rifiuto della società multiculturale, la distorsione della Shoah. E – quel che più inquieta – macinano like e followers quasi indisturbati.

Viviana Daloiso

Avvenire, 29 marzo 2022