UFFICIO NAZIONALE PER L'EDUCAZIONE, LA SCUOLA E L'UNIVERSITÀ
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Scuola, uno sguardo oltre la fatica

La riflessione: il bene affidato a menti e mani dei ragazzi sia più forte del male che vedono intorno a sé
7 Ottobre 2024

La prima campanella è appena suonata, ma già da qualche settimana la sala insegnanti accoglie un viavai di docenti impegnati con la preparazione del nuovo anno. Quello che, però, fino a qualche tempo fa, era un clima festoso di saluti e di racconti di avventure estive, sta cedendo il passo a un’atmosfera abbattuta, quasi sfiduciata. Ho letto preoccupazione e scoraggiamento negli occhi di chi ha sempre amato la scuola e che spende per essa tutte le sue energie. Allora, cos’è cambiato?

La scuola, certamente. Una realtà sempre più complessa, burocratizzata, che deve fare i conti con un’utenza varia, ora esigente, ora assente; con una scarsa – diciamolo – considerazione sociale dell’istituzione e del ruolo dei docenti. Ma non basta. L’av-vilimento che vedo intorno a me – che poi lascia spazio anche a nuovi entusiasmi, per fortuna – è dovuto, io ritengo, anche ai ragazzi. Che, è vero, sono i giovani di tutte le epoche, con le loro energie e ansie e paure e slanci. Ma sono anche molto cambiati. In modo vertiginoso dopo il Covid, che sembra aver fatto da lente di ingrandimento o da innesco a situazioni di disagio latente.

I nostri studenti, più che in passato, ci appaiono fragili. Tutti ne parlano: psicologi, sociologi, opinionisti, ciascuno con la sua ricetta. I recenti fatti di cronaca con protagonisti giovanissimi autori di gesti efferati hanno lasciato sgomenti. La domanda, a volte esplicita, a volte lasciata a sguardi increduli è: cosa possiamo fare? Quali strumenti cognitivi e didattici abbiamo per intervenire in modo efficace? Soluzioni facili non ci sono, perché complessa e nuova è la realtà che ci troviamo ad affrontare.

Nuova non perché in passato non vi fossero situazioni di crisi nei giovani: semplicemente, la scuola non se ne occupava, almeno non istituzionalmente. Oggi non è più così: si cerca di osservare l’alunno nella sua totalità, nella sua crescita culturale, personale e sociale e, almeno sulla carta, si prova a rimuovere gli ostacoli che si frappongono al cosiddetto successo formativo. Quanto davvero la scuola italiana sia pronta – in termini di formazione del personale e dell’attuazione di strategie efficaci – è oggetto di dibattito. Ci si domanda anche se la “certificazione” così puntuale dei singoli disagi non costituisca, al di là delle intenzioni del legislatore, un modo per cristallizzarli e rafforzarli. La risposta non è univoca, né immune da rischi. L’esperienza ci ha insegnato che segnali di malessere sottovalutati hanno portato, purtroppo, a conseguenze anche gravi.

Questa situazione genera un senso di impotenza e di frustrazione, perché, se da un lato la scuola non può ignorare la fragilità, dall’altro non può rinunciare neanche al suo dovere di trasmettere conoscenze e competenze. Come, allora, accogliere questa fragilità, senza farne uno stagnante punto di non ritorno? Leggevo, qualche giorno fa, l’intervento dello psicologo e sociologo Silvio Cattarina al Meeting di Rimini e mi è rimasta impressa questa frase: «Questo è il grande tradimento. Avere un cuore che ha tutto, che ha dentro l’infinito, e non essere aiutato a viverlo».

Mi è sembrata una provocazione utile, un buon punto di partenza. Forse qualcosa possiamo fare, non a prescindere dalle nostre discipline, ma proprio a partire da esse: vivere sulla nostra pelle, ricordandoci e ricordando ai nostri studenti che quando parliamo di poesia, arte, storia, filosofia, è di loro che parliamo, dando un linguaggio alle loro domande; quando studiamo la matematica, la fisica, le scienze naturali, parliamo del linguaggio con cui è scritto l’universo; quando insegniamo loro a costruire un circuito elettrico, un modello di abito, a fare una partita doppia, è sempre di loro che parliamo. E lo scopo di questo sapere e saper fare non è il successo comunemente inteso: lo scopo è che l’interesse per questa avventura umana non si spenga, che la speranza che qualcosa di buono possa essere affidato alle loro menti e alle loro mani per il futuro, sia più forte del male che essi vedono intorno a sé. Aiutarli a credere che c’è un destino buono al quale possono collaborare è un compito che la scuola non può tradire.

Laura Crucianelli, insegnante di Lettere al liceo classico

Emmaus Macerata, 6 ottobre 2024