In questo momento di grande crisi sanitaria, sta emergendo con chiarezza come la scuola (tutta) rappresenti veramente il futuro del nostro Paese. Quando una scuola chiude e quando solo il 27% degli studenti arriva alla laurea è una sconfitta per tutto il Paese. Che futuro possiamo avere, specie nella complicata società ed economia del Covid?
Nel nostro Paese esiste una scuola pubblica composta (in modo paritario – dice la legge) dalle scuole dello Stato e dalle scuole paritarie non statali: entrambe per la normativa, appunto, con 'pari dignità' e soggette alle stesse regole di qualità, di garanzia e di controllo fissate giustamente dalla Repubblica. La scuola paritaria non equivale però alla scuola privata, anche se da troppo tempo questi due concetti sono erroneamente assimilati. Scuola paritaria non significa 'di qualcuno' e/o 'solo per qualcuno' e/o al 'di fuori del sistema', poiché essa è soggetta a tutti i controlli previsti per le scuole statali; scuola paritaria non significa nemmeno scuola 'di una parte' o di 'un’altra', significa solo scuola posta sullo stesso piano di quella statale ma costruita (interamente) e condotta (totalmente o principalmente) con risorse non statali.
In particolare, tra le scuole paritarie ci sono tante scuole non profit cattoliche e di ispirazione cristiana che sono la maggioranza: esse operano senza scopo di lucro (e cioè senza obiettivo di profitto per il soggetto gestore; ogni risorsa infatti viene reinvestita nella scuola!), svolgendo un servizio sociale ed educativo molto rilevante e anche tanto conveniente per le finanze pubbliche, mettendo in gioco risorse umane, finanziarie e patrimoniali proprie, spesso insufficienti, poiché a differenza della scuola statale, per una scuola paritaria lo Stato assegna solo 500 euro annui per studente contro i 6.500 euro assegnati agli studenti delle scuole statali. Così le scuole paritarie cattoliche accumulano da anni perdite di gestione croniche e crescenti, lo Stato risparmia e le scuole sono costrette a chiedere ai genitori di pagare una retta, dopo che hanno già pagato le imposte. Una retta (che nasce quindi da una mancanza di parità di sostegno finanziario pubblico) e che oggi, data la grande crisi determinata dal Covid, diventerà sempre più proibitiva per le famiglie. Da qui il rischio, già indicato in altri articoli, di chiusura di circa il 30% delle scuole paritarie non profit cattoliche italiane (molte anche nelle zone più povere del Paese), con la necessità di ricollocare circa 300.000 studenti nella scuola statale e sostenere oltre 40.000 lavoratori disoccupati, con un aggravio di spesa pubblica fino a 5 miliardi di euro, in un periodo in cui almeno questo sarebbe chiaramente da evitare.
Nell’Italia della ricostruzione post-Coronavirus c’è bisogno di scuole statali e paritarie di elevata qualità culturale ed educativa, efficienti, e innovative. Servono entrambe e servono forti in tutto il Paese. Per questo motivo è giunto il momento di ragionare in modo nuovo, prendendo in considerazione la possibilità per le famiglie che scelgono la scuola paritaria di fruire di una detrazione integrale della retta pagata (o parametrata a un costo standard efficiente e di sostenibilità) scontabile nel medesimo periodo di imposta in cui essa viene sostenuta; una detrazione proporzionata anche al reddito e al numero dei componenti il nucleo familiare. Ciò, in attesa di una riforma del sistema più organica basata su un nuovo modello di finanziamento della scuola tutta, dove ciascun studente (della scuola statale e di quella non statale) potrebbe disporre di un voucher o buono-scuola, pari proprio al costo standard di sostenibilità per allievo, versato dallo Stato direttamente alla scuola prescelta. Un parametro unico per tutte le scuole del Paese (statali e non) differenziato per ciclo scolastico. Una quota che può essere eventualmente modificata anche in funzione della zona geografica e del fatto che la classe accolga o meno studenti in difficoltà. Chiaramente il parametro di finanziamento non dovrà essere né insufficiente, né eccedente rispetto a ciò di cui si necessita per svolgere un servizio formativo di eccellenza, innovativo ed efficiente e deve essere in grado di remunerare tutto il necessario.
La novità è che le risorse pubbliche per attuare questo nuovo sistema ci sono già, anzi attualmente ne spendiamo di più. Applicando questo sistema, si risparmierebbero a regime addirittura circa 11 miliardi di euro all’anno, senza tuttavia tagliare nulla e solo utilizzando meglio le risorse pubbliche, che per circa il 17% sono oggi extra-costi rispetto a quelli veramente necessari. Chiaramente, non esiste la 'bacchetta magica', ma ci vuole un progetto innovativo di cambiamento complessivo, politicamente trasversale, partecipato, lungimirante e graduale, specie in questo momento storico in cui occorre guardare al presente e al futuro in modo veramente nuovo.
Marco Grumo
Professore di Economia aziendale e coordinatore scientifico di 'Cattolica per il Terzo Settore'
Avvenire, 3 giugno 2020