«Se le formiche si mettono d’accordo possono spostare un elefante». All’Istituto superiore “Don Milani” di Montichiari (Brescia), sono talmente d’accordo con questo proverbio africano, che si sono persino convinti di riuscire a smuovere anche un pachiderma della burocrazia, che si nutre di decreti e circolari, come la scuola. E, per di più, lo vogliono fare (anzi, lo stanno facendo) dal basso. A partire dalle domande di alunni e insegnanti, ma anche di genitori, personale amministrativo e bidelli. Per un anno, l’intera comunità scolastica (una piccola città di 1.750 studenti, tra cui 42 alunni disabili e 61 con Bisogni educativi speciali, 20 insegnanti e 35 tra bidelli e personale di segreteria) si è confrontata su come ristrutturare i due edifici che compongono l’istituto, recuperando spazi e utilizzando meglio quelli esistenti, per creare un campus sull’esempio di quelli del Nord Europa. L’aumento delle iscrizioni (+12%) ha reso necessaria la creazione di due nuove classi, aumentando la criticità degli spazi e dando un’accelerata al processo di rinnovamento della scuola, ormai non più rinviabile.
Guidati da un team composto da due architetti (Chiara Filios e Arnaldo Arnaldi) e una pedagogista (Mariagrazia Marcarini), i workshop che si sono succeduti negli scorsi mesi, hanno visto tutti i protagonisti della scuola impegnati nel ripensare gli spazi per rendere l’istituto «un luogo di benessere, accogliente per tutti», hanno sottolineato gli esperti. Il cui lavoro principale è stato, appunto, quello di «ascoltare» i ragazzi. Che, essenzialmente, hanno chiesto «più spazi per studiare insieme», «aule innovative e colorate dove la voglia di studiare possa aumentare» e la sistemazione degli spazi verdi per «tenere lezioni all’aperto ». In tre parole, gli alunni del “Don Milani” sognano una «scuola come casa ». Un luogo dove «sentirsi bene per studiare meglio».
Come ha spiegato ieri la preside, Claudia Covri, presentando il progetto al territorio, è così nato un «movimento di innovazione e cambiamento» che, per la prima volta in Italia, vedrà una scuola applicare il metodo Dada a tutti gli indirizzi (otto quelli del “Don Milani”: 5 licei, 2 professionali e un tecnico). Acronimo che significa Didattica per ambienti di apprendimento, il metodo Dada “ribalta” completamente la concezione di lezione frontale, con gli studenti sempre chiusi nell’aula e i professori che ruotano al cambio dell’ora. Da settembre, a Montichiari, saranno gli studenti a “girare” per la scuola, mentre i professori avranno ciascuno un ambiente di apprendimento, appositamente attrezzato e dedicato alla materia di insegnamento. Visti i numeri in gioco, gli spostamenti (massimo 4 minuti per raggiungere la nuova classe) saranno governati da un regolamento specifico che, come primo obiettivo, ha quello di responsabilizzare i ragazzi nella gestione sia dei tempi che degli spazi, rendendoli anche più autonomi e, in definitiva, aiutandoli a crescere.
«Anche così si educa alla cittadinanza – ha sottolineato la dirigente –. Vogliamo che la scuola, già oggi aperta dalle 7 della mattina alle 23, diventi ancora di più un luogo di incontro oltre il tempo delle lezioni. Per questo abbiamo deciso di cambiare il modo di fare didattica, a partire dalla formazione dei docenti». Alcuni, almeno all’inizio, erano timorosi e, persino, spaventati dal cambiamento di prospettiva. Col passare dei mesi, tutti si sono però convinti della necessità di innovare il modello di insegnamento per «aprire la scuola al futuro », ha spiegato una rappresentante dei docenti. Per dirla con il professor Piercesare Rivoltella, direttore del Cremit, il Centro di ricerca sull’educazione ai media all’informazione e alla tecnologia dell’Università Cattolica, che ha seguito da vicino il progetto, a Montichiari vogliono «cambiare l’aula per trasformare e rendere più efficace e al passo coi tempi la didattica».
Una sfida che ha bisogno (anche) di un importante sforzo economico. Ogni aula disciplinare, infatti, può arrivare a costare fino a 20mila euro e, al “Don Milani”, di aule ne servono almeno settanta. Un investimento significativo che non spaventa il territorio. Un primo, importante, contributo, l’ha dato la Banca di Credito cooperativo del Garda, attraverso la vendita dei certificati di deposito solidale “Bccinclasse”. Lo 0,25% del valore sottoscritto dai clienti (minimo mille euro a certificato) è girato dalla banca sul conto della scuola tramite una donazione liberale.
«Chiediamo a tutto il territorio di sostenere il progetto Dada», è stato l’appello della preside, alla guida di una scuola che serve un grande bacino d’utenza, distribuito su 39 comuni in un raggio di almeno trenta chilometri. «In ogni caso il progetto si farà. A settembre si parte», ha assicurato la dirigente. Perché quando le formiche si mettono d’accordo, nessuna montagna è troppo alta da scalare.
Paolo Ferrario
Avvenire, 8 aprile 2018