Dall’anno zero all’anno costituente. Se la prossima guida del ministero dell’Istruzione dovesse toccare a Patrizio Bianchi, già a capo della task force per la riapertura delle scuole voluta da Lucia Azzolina nella scorsa primavera, lo slogan della ripartenza potrebbe essere questo. Fu proprio Bianchi, per primo, a parlare di «anno costituente» della scuola, tema poi ripreso nel suo ultimo libro (“Nello specchio della scuola”, il Mulino), in cui prova a rilanciare un’immagine di scuola “nuova” perché, come ha ribadito in una recente intervista ad Avvenire, «quella di prima non esiste più». Riflessioni che, se dovesse essere chiamato dal presidente del Consiglio incaricato, Mario Draghi, per il ruolo di ministro, andranno a costituire un programma di governo basato su una visione ben precisa: «Quale Paese vogliamo per noi e per i nostri figli e quindi quale scuola predisporre per realizzare un Paese che non sia sempre in balìa dell’emergenza, ma sia capace di guardare avanti», scrive Bianchi nelle conclusioni del libro. Una scuola moderna, dunque, per un Paese (finalmente) moderno. Con, magari, tutti gli insegnanti in cattedra fin dal primo giorno di lezione, come ha annunciato lo stesso Draghi e non, come avviene oggi, a Natale (quando va bene).
Per raggiungere questo, saggio, obiettivo – interviene Giuseppe Bertagna, pedagogista dell’Università di Bergamo, già consulente di Letizia Moratti, quand’era ministra dell’Istruzione – «si dovrebbero confermare sullo stesso posto tutti i docenti di ruolo e non di ruolo, in modo da assicurare un avvio del nuovo anno scolastico con un minimo di continuità educativa e didattica indispensabile per studenti sballottati per oltre un anno tra chiusure, supplenze ancora non finite, quarantene e l’insostenibile leggerezza della Dad». Un’idea, ricorda Bertagna, «arrogantemente respinta nel gennaio dello scorso anno», ma che oggi torna prepotentemente alla ribalta.
«Questi provvedimenti, tuttavia – osserva Bertagna – sarebbero veleno se non fossero anche inseriti in un disegno che possa prospettarsi farmaco: una riforma del reclutamento e della formazione iniziale e in servizio dei docenti che consideri l’urgenza di allineare alle nuove sfide emergenti l’uniformità sovietica dell’attuale funzione docente». Bertagna si dice, poi, molto d’accordo sul prolungamento delle lezioni in estate, sottolineando come «nell’era del digitale che renderebbe obbligata una costante alleanza critica tra gli apprendimenti formali della scuola e quelli extrascolastici non formali, informali ed occasionali non può che far sorridere la difesa di un calendario scolastico ancora da società agricola», chiosa l’esperto. Che auspica anche un ritorno a un esame di Maturità «significativo». «I nostri giovani – ricorda Bertagna – stanno in casa fino 30,1 anni (contro i 23,7 anni di Germania, Francia e Olanda o i 18,45 della Svezia). Se si continua nella riduzione della complessità li terremo ancora di più infantilizzati».
Sull’allungamento delle lezioni per qualche settimana è d’accordo anche il direttore della Fondazione Agnelli, Andrea Gavosto, secondo cui «molti in Italia, anche nel mondo della scuola, non hanno colto del tutto l’eccezionalità dell’emergenza educativa causata dal Covid». Un campanello d’allarme che implica un necessario cambio di passo. «Come veramente siano andate le cose in Italia non lo sappiamo – ricorda Gavosto – perché il governo ha fatto finora la scelta sbagliata di sospendere le prove Invalsi, l’unico strumento a disposizione per comprendere meglio l’entità delle perdite di apprendimento e di competenze di questi mesi, e in quali ambiti si siano maggiormente verificate. Ma non ci si può illudere che siano minori di altri Paesi europei, come l’Olanda, che fra l’altro hanno sistemi scolastici con meno problemi del nostro».
Quindi, posticipare le vacanze estive sarebbe un’operazione «urgente e necessaria», secondo Gavosto, che ribatte anche alle proteste dei docenti (e degli studenti): «È assurdo affermare che prolungare l’anno scolastico significhi negare il lavoro fatto a distanza; al contrario, la Dad è stata importante, utile e necessaria; semplicemente non è stata sufficiente - da noi come altrove a compensare le perdite».
In classe o davanti al computer, l’insegnante e lo studente restano le figure centrali intorno alle quali costruire la scuola post-pandemia. Un sistema che, secondo la presidente Fidae, Virginia Kaladich, dovrà essere anche «inclusivo» e in grado, 21 anni dopo l’approvazione della legge, di realizzare la vera parità tra scuole statali e istituti paritari. «Ci incoraggia lo sguardo lungimirante del professor Draghi», sottolinea Kaladich, ricordando il passato nelle scuole dei Gesuiti del premier incaricato. «Quando sento parlare di insegnanti al proprio posto fin dal primo giorno di scuola – aggiunge, non senza amarezza – penso a tante paritarie che, ogni anno, sono costrette a ricominciare da capo perché alcuni docenti si trasferiscono nelle statali. È necessario, allora, ridare dignità a questi insegnanti, riconoscendo il loro ruolo in un sistema d’istruzione fondato, finalmente non soltanto a parole, sulle scuole statali e sulle scuole paritarie. Noi ci siamo e lo abbiamo dimostrato offrendo a tutto il sistema il nostro Protocollo con le Linee guida per una didattica a distanza e integrata davvero efficace, realizzato la scorsa primavera con l’Uni, l’ente italiano di normazione». Al nuovo governo, conclude la presidente Fidae, le scuole paritarie chiedono, allora, di mettere fine alla «discriminazione» che le riguarda e di dare, finalmente, alle famiglie una vera «libertà di scelta educativa».
Paolo Ferrario
Avvenire, 11 febbraio 2021