UFFICIO NAZIONALE PER L'EDUCAZIONE, LA SCUOLA E L'UNIVERSITÀ
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

«Scuola di specializzazione sul sostegno»

D’Alonzo (Cattolica): è necessario rendere stabili i percorsi di formazione degli insegnanti
3 Giugno 2022

Si sono conclusi nei giorni scorsi i test preselettivi per il settimo ciclo dei percorsi di specializzazione sul sostegno che, per quest’anno, prevedono l’attivazione di 25.615 posti di Tfa (Tirocinio formativo attivo), mentre nel triennio 2021-2024 saranno in totale 90mila. Come denunciato dalla Cisl Scuola, la distribuzione dei posti attivati dalle università non è direttamente proporzionale alla domanda di insegnanti di sostegno proveniente dal territorio. Così, per esempio, in Lombardia, a fronte di 5.700 cattedre vacanti, i posti di Tfa attivati sono 1.240, pari al 21,75% del totale. In Calabria, invece, dove mancano 73 insegnanti di sostegno, i posti di Tfa attivati sono 2.070, pari al 2.835,62% in più rispetto all’effettiva necessità. E questo fenomeno si ripresenta in tutte le regioni del Nord, dove la disponibilità di posti in formazione sul sostegno non arriva a coprire la domanda delle scuole. (P. Fer.)

«Sul sostegno serve una scuola di specializzazione, come esiste in Medicina, che inizi regolarmente ogni anno e renda virtuoso un percorso che, invece, in questi anni ha mostrato tutti i propri limiti. E a pagarne le conseguenze sono gli alunni disabili, l’anello più debole della catena». È la proposta per rimettere al centro delle politiche scolastiche l’inclusione degli studenti più fragili, avanzata dal presidente della Società italiana di Pedagogia speciale (Sipes), Luigi D’Alonzo, docente dell’Università Cattolica e delegato del rettore per l’integrazione degli studenti con disabilità e Dsa di tutte le sedi dell’ateneo.

Quali sarebbe il valore aggiunto di una Scuola di specializzazione sul sostegno?

Il principale sarebbe quello di rendere stabile, istituzionalizzandolo, un percorso di formazione all’interno dei normali corsi universitari. Oggi, invece, non è così. I percorsi di formazione sul sostegno, i Tfa, sono stati istituiti nel 2011 e, da allora, siamo soltanto al settimo ciclo, quando, invece, avremmo dovuto averne avuto uno all’anno. Cambi di governo e lungaggini burocratiche hanno rallentato il tutto.

Con quali conseguenze?

La principale è che almeno il 30% degli insegnanti di sostegno è precario e che tanti docenti vedono nel sostegno soltanto una modalità per conseguire il punteggio necessario per passare all’insegnamento curricolare. Per questa ragione, la formazione sul sostegno merita di essere ricompresa all’interno dei corsi universitari. Perché formare docenti di sostegno è davvero un’opera meritoria. Don Calabria amava ripetere che “la gioventù è di chi se la piglia”. Ma chi si piglia i ragazzi disabili? Chi se ne occupa?

Come mai le università, soprattutto al Nord, attivano corsi di Tfa largamente inferiori rispetto alle reali necessità?

Perché per formare gli insegnanti di sostegno occorrono risorse e personale dedicato che le università fanno fatica a recuperare. Noi, in Università Cattolica, facciamo il massimo possibile, anche sulla base delle domande di iscrizione ai corsi che effettivamente arrivano dagli aspiranti insegnanti di sostegno. E tutti sappiamo quanta disaffezione ci sia, oggi, verso l’insegnamento, vista la scarsa considerazione sociale in cui, purtroppo, è tenuta questa professione. E questo vale, a maggior ragione, per gli insegnanti di sostegno.

Quali sono le ricadute, di questa situazione, sugli alunni?

Nella scuola secondaria abbiamo il 30% di alunni con Bisogni educativi speciali, ma questo dato allarmante non sembra smuovere i decisori politici. È stata appena varata la riforma della formazione iniziale degli insegnanti che prevede un percorso universitario abilitante di almeno 60 crediti formativi. Mi auguro che all’interno di questi percorsi ci siano anche discipline legate all’inclusione scolastica dei disabili. Che, a 45 anni dall’abolizione delle classi differenziali, è ancora considerata un “problema” dell’insegnante di sostegno e non, invece, un compito dell’intero corpo docente. Un principio di civiltà che fa ancora tanta fatica a passare in molte scuole.

Paolo Ferrario

Avvenire, 3 giugno 2022