Ho insegnato per decenni, sempre però a persone anagraficamente adulte, in gran parte religiosi o sacerdoti, vale a dire in istituti teologici e università pontificie, mai a bambini. Ho avuto tuttavia un gran daffare con i più piccoli, nei lunghi anni in cui sono stato parroco in diverse realtà della diocesi di Latina-Terracina- Sezze-Priverno, e so quanta importanza ha, nello sviluppo futuro della persona, l’esperienza di quei primi anni di vita.
Ebbene, la scuola dell’infanzia potrebbe agire positivamente per un rilancio delle ‘aree interne’? La mia risposta è positiva e credo che sarebbe in grado di farlo in modo efficiente, favorendo nei piccoli una struttura idonea alle connessioni umane, un carattere più pronto ad affrontare le difficoltà agendo in autonomia, più idoneo a resistere alle sempre più pervasive pressioni dei social. Non dobbiamo infatti dimenticare che i nostri ragazzi sono oggi abilissimi nello sviluppare rapporti in rete, ma poco attrezzati per quanto riguarda anche le più banali relazioni nella vita civile: non è raro trovare giovani che in quattro e quattr’otto si rivelano bravissimi nel reperire le cose più impensabili per via informatica, espertissimi ad effettuare ogni specie di pagamento online, ma del tutto incapaci ad affrontare un impiegato dietro a uno sportello, dimostrandosi tanto impreparati a spiegare de visu, a voce e con calma, un reclamo, quanto sono invece abili a gridare la loro rabbia sui social. È quindi di una struttura idonea a stabilire connessioni umane che le persone hanno soprattutto bisogno, di un pensiero capace di elaborare criticamente le notizie per risultare meno manipolabili, per poter agire in autonomia limitando il più possibile i condizionamenti esterni.
Nel settembre 2017, in una lettera diretta agli studenti presenti nell’arcidiocesi di Benevento, scrivevo: «V’invito quindi a darvi un progetto di vita e a perseguirlo con costanza; a inseguire ciò che amate, come diceva Collodi, per non essere costretti ad amare quel che troverete. Perché questo si realizzi è necessario che diate il meglio di voi stessi, che vi impegniate nel vostro percorso d’apprendimento e nella vostra formazione, evitando di pensare che poi, alla fin fine, ‘certe cose’ nella vita non serviranno, dal momento che lo studio -quello vero e serio - apre le menti, purifica i cuori, consente di cogliere il nocciolo essenziale delle cose, aiuta a capire e a leggere in profondità il proprio tempo: vi rende, cioè, più ricchi di acume critico, di oggettività; in una parola, meno asservibili e manipolabili».
Ritengo che affinché tutto ciò avvenga, sia più facile porne le basi in una scuola dell’infanzia collocata in area interna. Quando si parla di piccoli centri si parla anche di perimetri ristretti, facilmente percorribili a piedi, privi di quelle grandi insidie che - in ambito urbano o, ancor più metropolitano - il traffico pone a tante attività educative. Un piccolo centro di area interna avrà, con molta facilità, anche un centro di ritrovo per gli anziani, visto che anziana sarà sicuramente la gran parte della (scarsa) popolazione, e scuola e centro si ritroveranno collocati, con tutta probabilità, a breve distanza l’una dall’altro.
Con tutte le cautele del caso, con tutte le garanzie e la salvaguardia e tutela della legge, non si potrebbero allora pensare programmi di scambio, anche in orari extrascolastici, nei quali gli anziani potrebbero far vedere ai piccoli come un tempo si costruivano tanti utensili in legno o con altri materiali naturali che con il tempo sono stati invece sostituiti dalla plastica? Non potrebbero far vedere loro come si cucinava quando ci si doveva affidare essenzialmente ai prodotti del suolo o della stalla? Non potrebbero - quegli stessi anziani - allestire e curare regolarmente piccoli orti botanici nei quali fornire ai bambini nozioni e abilità che sarebbero per loro utili nella vita, educandoli al tempo stesso a un rapporto amichevole e rispettoso con l’ambiente? Non potrebbero insegnare ai piccoli i giochi che si facevano quando essi erano piccoli e scorrazzavano liberamente in strada e i giocattoli dovevano fabbricarseli da soli con materiali naturali o di scarto? In verità, se c’è qualcosa che dobbiamo prendere tremendamente sul serio è la difficoltà, ormai generalizzata, dei bambini a giocare con altri bambini, visto che ognuno tende a chiudersi nel proprio mondo con il videogioco che più gli garba. Tutto ciò consentirebbe ai bambini di sviluppare la propria manualità, di acquisire esperienze che non dimenticherebbero più, perché è vero che se uno ascolta dimentica, se vede ricorda, se fa capisce (e ne trattiene il ricordo). Inoltre - e non è cosa da poco -, costituirebbe pure per gli anziani un’occasione per rendere più bella e serena la loro vecchiaia, di sentirsi ancora utili, di fare un pieno di energia che, alla fin fine, ritornerebbe anche come ricchezza economica a disposizione dello Stato, perché si avrebbero meno persone depresse (e sappiamo quanto tali patologie incidano sulla spesa sanitaria) e molte più energie a disposizione senza particolari aggravi per la finanza pubblica.
Mons. Felice Accrocca, Arcivescovo di Benevento
(da “Prima i Bambini”, periodico Fism)