UFFICIO NAZIONALE PER L'EDUCAZIONE, LA SCUOLA E L'UNIVERSITÀ
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Salviamo l’uomo e la pedagogia dalla tecnocrazia

“In difesa dell’umano”, un libro manifesto mette in guardia dalla dissoluzione della specificità dell’umano
12 Marzo 2023

Due minacce incombono sul mondo della scuola e dell’università in Occidente, particolarmente dopo il lockdown e la sperimentazione della didattica a distanza. Il primo coincide col progetto delle grandi piattaforme digitali di trasformare l’educazione in un processo virtuale improntato all’uso totalizzante della tecnologia nell’insegnamento, cancellando secoli di tradizione umanistica e negando l’importanza della relazione diretta fra professore e studente, nonché fra i ragazzi stessi. L’altro pericolo riguarda la questione antropologica e viene dall’idea del postumano, che non va più considerata come una bizzarria di alcuni filosofi o scienziati folli, ma una prospettiva concreta.

Di tutto questo ci parla un libro manifesto per salvare la scuola e l’università dalla deriva tecnocratica ed economicistica, In difesa dell’umano, edito da Vivarium Novum (2 voll., pagine 1330, euro 45,00), che contiene 48 contributi di studiosi appartenenti sia all’area umanistica che scientifica. Si va dal premio Nobel per la fisica Giorgio Parisi al filosofo Mauro Ceruti, dal sociologo Serge Latouche al matematico Paolo Zellini, solo per citarne alcuni. Curatori sono il neurobiologo Lamberto Maffei, il filosofo della scienza Luciano Boi, il filologo Luigi Miraglia e il filosofo Umberto Curi. In futuro i bambini dovrebbero studiare in una sorta di aula multipla virtuale, collegati con i migliori professori di tutto il mondo che faranno lezione grazie a strumenti di traduzione vocale. Detto così, potrebbe sembrare un’idea affascinante, in grado di annullare le differenze linguistiche e le distanze geografiche. Ma secondo il pedagogista Michele Maggino, “l’esigenza di ricorrere a varie forme di didattica a distanza non ha fatto dimenticare che le tecnologie vecchie e nuove, le classi virtuali, il digitale e tutto ciò a cui si è fatto ricorso in quel frangente straordinario del lockdown non possono sostituire, né ora né in futuro, ciò che più conta davvero: la relazione incarnata, così imperfetta ma reale, che costruiamo e continueremo a costruire a scuola, nelle nostre classi, con i nostri bambini”.

L’attacco alla scuola – e all’università – viene proprio dai padroni della rivoluzione digitale, che ritengono ormai inevitabile il declino dell’educazione tradizionalmente intesa fondata sull’umanesimo e sui valori della cultura classica innestati a quelli espressi dalla civiltà ebraico-cristiana che ha dato vita all’Occidente. Il rischio più evidente di questo progetto è la crisi del pensiero come capacità critica di ragionare. Si vuole davvero trasformare l’uomo in un essere non pensante?

I curatori del libro-manifesto lanciano l’allarme e nell’introduzione delineano una serie di tratti salienti della prospettiva che si delinea: il dominio di una visione tecnicistica del mondo e la colonizzazione tecnologica del pianeta; la dissoluzione della specificità dell’umano; l’impoverimento dei processi di formazione e socializzazione; il declino del logos in tutte le istanze della vita individuale e collettiva. Paure eccessive? In realtà nei vari interventi, da Maffei ad Alberto Oliverio e Giuseppe Longo, non c’è nessuna svalutazione della civiltà del computer a priori, anzi non se ne negano affatto gli effetti positivi sulla nostra vita quotidiana, ma si mette in guardia dalle derive possibili. E si auspica una nuova alleanza fra cultura umanistica e cultura scientifica. Illuminante la riflessione di Mauro Ceruti, dedicata alla crisi cognitiva che stiamo attraversando e che ci impone di tornare a pensarci come umanità nel tempo della complessità: “La vera malattia del nostro tempo è la semplificazione. L’università, la scuola e anche la divulgazione fatta dai cosiddetti esperti ci insegnano a separare le discipline le une dalle altre. E non ci insegnano a collegare. Continuano a disgiungere conoscenze che dovrebbero essere interconnesse”.

Ma la disintegrazione dell’umano, o “l’abolizione dell’uomo” per riprendere un’efficace espressione di Clive Staples Lewis, è il rischio reale. Che trova come accennato un’esemplificazione nel transumanesimo, ideologia in grado di unire biotecnologia e neuroscienze in nome del cosiddetto potenziamento dell’umano. In realtà si tratta di una trasformazione dell’umano, sempre più appiattito sulla macchina. Per evitare che l’evoluzione della civiltà sia totalmente subordinata all’evoluzione delle macchine pensanti occorre ripristinare la centralità dell’educazione. In questo senso emerge la rilevanza delle riflessioni di Neil Postman a proposito del dominio della tecnologia nella vita di tutti i giorni. Per l’amico di Marshall McLuhan la società deve ritrovare gli anticorpi attraverso la scuola e l’università, chiamate a stimolare il pensiero critico. Puntando su materie come la semantica, dato che è impossibile separare la lingua dal sapere, la storia e la religione, con la quale sono intessute l’arte, la musica, la letteratura e persino la scienza. L’intelligenza umana va stimolata con altre forme rispetto alla logica dei computer e alla cultura del tecnopolio che vuole ridurre gli uomini a macchine, “macchine pensanti, beninteso, ma pur sempre macchine”.

Roberto Righetto

Avvenire, 12 marzo 2023