Un giorno questo dolore ti sarà utile: sono le parole della dedica dell’ultimo regalo che la nonna Nanette, l’unico adulto degno di questo nome, farà a James, il nipote adolescente. Da qui il titolo di un romanzo del 2007, di Peter Cameron, e del film di Roberto Faenza uscito in questa stagione cinematografica. Una versione contemporanea di quello che fu un vero e proprio cult della metà del secolo scorso:
Il giovane Holden di Salinger.
James Sveck, il protagonista, ha 17 anni. I genitori sono divorziati. La madre gestisce una galleria d’arte bizzarra e senza acquirenti e “colleziona mariti”. Il padre esce solo con donne giovanissime. La sorella si innamora di uomini che hanno l’età di suo padre… Faenza descrive la New York city di inizio millennio come un mondo frenetico e rampante, di adulti eterni narcisi e peter pan, la cui solitudine viene esplorato con lo sguardo lucido e addolorato del giovane James.
«Non c’entro niente con gente così», dice il ragazzo a alla life coach cui i genitori l’hanno affidato nel tentativo di ricondurlo alla “normalità”. Ma James non desidera per sé nulla di quanto vogliono i genitori: non vuole andare all’università ma sogna di fare un lavoro manuale; all’esaltazione e agli eccessi dei compagni della “classe d’America” preferisce la solitudine e una buona lettura.
La pellicola mette a tema lo spaesamento di un adolescente, molto sensibile e intelligente (per dirla con una battuta del film) alla ricerca di un’identità, e insieme la questione di cosa siano veramente la normalità e la diversità nelle inquiete e opulente società avanzate di oggi. Ma soprattutto, mi pare, ci mette davanti agli occhi quella che Benedetto XVI ha più volte definito l’“emergenza educativa”.
«Tua madre ed io siamo preoccupati per te», dice il padre a James. E lui, implacabile: «Piuttosto dovreste essere preoccupati per voi». In effetti, nonostante la sincera preoccupazione per il bene del loro figlio, né il padre né la madre riescono a decifrarne le domande profonde; anzi rovesciandogli addosso la loro umanità irrisolta, i ruoli finiscono per capovolgersi.
Lo sguardo triste e spesso beffardo del protagonista nasconde un disperato bisogno di adulti credibili, di relazioni profonde che lo introducano al senso e al gusto della vita. Come la nonna Nanette. «“Ho vissuto pienamente? Ho saputo amare?” Se alla fine potrai rispondere sì, non avrai vissuto invano». È l’eredità che la nonna gli lascia e James, nelle ultime scene del film, dimostra di averla raccolta. Per questo l’immagine irrevocabile che vi consegno è quella in cui il giovane protagonista balla, finalmente sorridente, con la nonna, Nanette, lasciandosi condurre dalla sua guida sicura.
Card. Angelo SCOLA