UFFICIO NAZIONALE PER L'EDUCAZIONE, LA SCUOLA E L'UNIVERSITÀ
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

“Risposta flebile e inadeguata ma segnale di dialogo”

Un comunicato congiunto di Cism e Usmi dopo lo sciopero virtuale: gli investimenti nell’educazione non escludano le scuole paritarie
26 Maggio 2020

Due giorni di sciopero virtuale (19-20 maggio) con il provocatorio slogan #noisiamoinvisibiliaquestogoverno. A promuoverlo e sostenerlo le Conferenze dei religiosi e delle religiose in Italia (Cism e Usmi), che gestiscono buona parte delle scuole pubbliche paritarie cattoliche nel Paese. “Era stato invocato dalla base un segno forte e chiaro, era stato chiesto di fare ‘rumore costruttivo’. Crediamo che sia stato raggiunto lo scopo immediato”, scrivono in un comunicato congiunto firmato da madre Yvonne Reungoat (presidente nazionale Usmi) e da padre Luigi Gaetani (presidente nazionale Cism). “La politica ha colto il nostro grido e ha stanziato 150 milioni di euro, di cui 80 per le scuole del ciclo 0-6 anni (in questa fascia è compreso il servizio socio-educativo, da 0 a 3 anni, che riguarda anche le scuole comunali, asili e nidi) e 70 per le primarie e le secondarie fino ai 16 anni, dando una flebile ed inadeguata risposta, sebbene da noi recepita come un segnale di dialogo, un segno a favore dei lavoratori e delle famiglie – si legge nel comunicato –. Infatti, sono solo 152 euro pro capite per i 524.031 allievi della scuola dell’infanzia e 200 euro pro capite per gli allievi degli altri corsi”.

Cism e Usmi auspicano che l’insolito sciopero della scuola pubblica paritaria faccia cogliere “le ragioni più profonde di un disagio civile, culturale, economico che continua a segnare e discriminare una parte civile ed educata di questo Paese che serve tante periferie e fa argine a tanta evasione scolastica” rendendo un servizio pubblico a “tutti coloro che, dentro un ordinamento democratico di scuola pubblica riconosciuta dallo Stato, hanno il diritto di scegliere l’istruzione per i propri figli senza dover pagare due volte il diritto all’istruzione: prima con le tasse e poi con le rette”. Diverse le iniziative poste in essere durante lo sciopero tramite i social media per dire “al Governo e al nostro Paese che noi non siamo figli di un dio minore, che non siamo invisibili, che non valiamo meno di tanti comparti aziendali, se mettiamo insieme 900mila alunni, 180mila tra docenti e personale, 12mila sedi scolastiche, se accogliamo 14mila alunni con varie disabilità”.

Di qui il rifiuto di affermazioni “ideologiche” secondo le quali i 150 milioni erogati alla scuola pubblica paritaria sarebbero un “dileggio omnipartisan alla Costituzione”. Per i religiosi è giusto che il Governo abbia pensato un concorso per assumere, nell’arco di 4 anni, 32mila docenti, “ma noi chiediamo – prosegue il comunicato – che il decreto Rilancio consideri che gli investimenti in educazione e formazione siano per tutto il sistema pubblico scolastico nazionale, quindi, anche per le scuole pubbliche paritarie” che sono “parte integrante del sistema dell’istruzione pubblica del nostro Paese”. Di qui la richiesta di “una libera scuola in un libero Stato, come in tutti i Paesi democratici della nostra Europa”.

“Questa operazione – concludono i religiosi – costa, ma sarà una opportunità per lo Stato. Oggi, infatti, serve 1 miliardo di euro per scongiurare la chiusura del 30% di scuole paritarie, la migrazione di 300mila allievi nella scuola statale con un costo per i cittadini di 2,4 miliardi (studio Istituto Bruno Leoni). Per questo rivolgiamo a tutti i politici: salvate gli studenti e le loro famiglie e date un futuro alla cultura del nostro Paese”.

Sir, 26 maggio 2020