Dobbiamo ripartire dalle basi, se vogliamo provare a colmare il divario, sul fronte della lettura e della comprensione di un testo, che separa i nostri quindicenni dai loro coetanei degli altri Paesi dell’area Ocse. In particolare, dobbiamo ripartire dall’insegnamento della grammatica, ma innovando anche la didattica. Su questo sta lavorando da tempo Loredana Camizzi, responsabile della Struttura di ricerca “Didattica laboratoriale e innovazione del curricolo nell’area linguistico- umanistica” dell’Indire, l’Istituto nazionale di documentazione, innovazione e ricerca educativa, con sede a Firenze. Il progetto portato avanti dal 2016 dalla ricercatrice, con 5 scuole, 22 docenti e circa 400 studenti di Palermo, ha l’obiettivo di cambiare l’insegnamento della grammatica nelle scuole, introducendo la “grammatica valenziale”, un modello scientifico di descrizione della struttura e del funzionamento della lingua, nato negli anni ’50 dall’intuizione di Lucien Tesniere, per l’insegnamento del Latino e introdotto in Italia dal linguista Francesco Sabatini, presidente onorario dell’Accademia della Crusca.
Rispetto all’insegnamento “tradizionale” della grammatica, normativo e prescrittivo, basato sull’apprendimento a memoria delle regole, il metodo “valenziale” parte dalle conoscenze linguistiche implicite degli alunni che, con il supporto dell’insegnante, imparano a riconoscere la struttura della frase e, da lì, arrivano a formulare la regola. Un processo inverso, dal basso, che coinvolge e stimola di più gli studenti, come testimonia la professoressa Camizzi.
«Abbiamo visto – spiega la ricercatrice dell’Indire – che lavorare con la grammatica valenziale richiede un approccio scientifico e di ricerca allo studio della lingua, da condurre attraverso l’osservazione, il confronto dei fenomeni linguistici, la manipolazione della lingua, che si traduce in attività didattiche di smontaggio e rimontaggio delle frasi, di rappresentazione, drammatizzazione dei significati, nella formulazione di ipotesi e nella costruzione e scoperta delle regole da parte degli allievi, insieme gli insegnanti».
La grammatica valenziale ha anche un, non secondario, aspetto inclusivo. La ricerca condotta dall’Indire tra le scuole palermitane ha, infatti, evidenziato come il metodo della grammatica valenziale abbia avuto un forte impatto sull’interesse e la motivazione, soprattutto degli studenti con risultati medio bassi e anche degli alunni con difficoltà, come i Bes (Bisogni educativi speciali) e i Dsa (Disturbi specifici dell’apprendimento).
«Per questo – commenta Loredana Camizzi – i docenti coinvolti hanno parlato di grammatica “inclusiva” e “democratica”. Inoltre abbiamo visto le prime ricadute anche sulla comprensione e la scrittura dei testi, anche delle altre discipline, dovuta ad una maggiore padronanza della lingua», aggiunge l’esperta. Che ritiene centrale, per far progredire anche le competenze degli studenti, un «dialogo e una collaborazione maggiori tra la scuola e il mondo della ricerca e dell’università». «Questi due mondi devono parlarsi di più – conclude Camizzi –. Serve una sensibilità reciproca, che vada al di là delle critiche sterili, ricorrenti in questi anni, ma porti a lavorare insieme. Per il bene dei nostri studenti».
Paolo Ferrario
Avvenire, 4 dicembre 2019