UFFICIO NAZIONALE PER L'EDUCAZIONE, LA SCUOLA E L'UNIVERSITÀ
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Riparte la sfida dell’istruzione

Circa 8 milioni di studenti e 850mila insegnanti, tra scuole statali e paritarie, pronti a tornare nelle classi questa settimana
9 Settembre 2024

La firma del decreto sulle linee guida per l’insegnamento dell’Educazione civica nelle scuole, arrivata ieri, è l’ultimo atto del governo in vista della riapertura dell’anno scolastico. I primi a partire, dei quasi 8 milioni di studenti italiani, sono stati i ragazzi della Provincia autonoma di Bolzano, che ha ripreso le attività didattiche giovedì. Domani la prima campanella dell’anno suonerà per gli alunni della Provincia autonoma di Trento. Sei regioni (Friuli Venezia Giulia, Marche, Piemonte, Umbria, Valle d’Aosta e Veneto), ripartiranno l’11 settembre e altre cinque (Campania, Lombardia, Molise, Sardegna e Sicilia) il giorno dopo, giovedì 12. Gli ultimi a riprendere in mano libri e quaderni, lunedì 16 settembre, saranno, infine, gli alunni di Abruzzo, Basilicata, Calabria, Emilia Romagna, Lazio, Liguria, Puglia e Toscana. Per quanto riguarda gli insegnanti, saranno circa 850mila, di cui 195mila di sostegno. Tra questi, anche 165mila supplenti, diecimila dei quali saranno assunti entro dicembre, ha promesso il ministro Valditara.

GRASSUCCI (SKUOLA.NET) - «Troppe pressioni sui ragazzi Così la metà degli alunni è in forte ansia per la ripresa»

Tranne lodevoli eccezioni, è difficile trovare studenti contenti di tornare a scuola dopo le vacanze estive. Valeva trent’anni fa, vale ancora oggi. «Con la differenza – riflette il direttore di Skuola. net, Daniele Grassucci – che in questi anni le sensazioni negative sono prevalenti». Nelle ultime settimane il portale degli studenti italiani ha sondato il terreno in vista della ripresa, scoprendo che «la metà dei ragazzi è in ansia per la ripresa e sette su dieci provano emozioni negative».

Perché succede questo?

Sostanzialmente, perché oggi gli studenti sono immersi in due sistemi che spingono alla performance. Il primo è il sistema dei social media, che creano modelli di successo che causano frustrazione nei ragazzi perché sanno di non poterli raggiungere. Dall’altro abbiamo un sistema scolastico, alle superiori, centrato sui voti. Che provocano attacchi di panico a quattro studenti su dieci. E altrettanti avvertono disagio fisico quando vanno a scuola (ma anche all’università). Insomma: si passa dalle elementari, dove non esistevano più i voti, che torneranno quest’anno, alle medie dove viene bocciato l’1,5% degli alunni, alle superiori dove, improvvisamente, viene bocciato il 6% e viene rimandato il 18% degli studenti. E i ragazzi sono totalmente impreparati e spiazzati da questo cambiamento repentino.

C’è dunque un problema di inclusività del sistema?

In Italia non abbiamo un sistema scolastico competitivo come quello coreano o giapponese. Eppure più della metà dei ragazzi lamenta un disagio con la valutazione. Abbiamo un problema di inclusività? Negli ultimi anni abbiamo ridotto la dispersione scolastica dal 25% al 10% rendendo il sistema certamente più inclusivo. Ma manca di progressività e, soprattutto, non addestra alla valutazione. E quando il gioco si fa improvvisamente duro, tanti non hanno gli strumenti necessari a far fronte al cambiamento. Così, tanti liceali, pur passando ore e ore sui libri, non ottengono i risultati sperati.

Non può essere anche un problema di orientamento poco efficace?

Teniamo conto che tanti si iscrivono al liceo perché si «deve andare al liceo». Negli ultimi anni siamo passati dal 45% di liceali al 57%.

Che tipo di scuola sognano i nostri ragazzi?

L’abbiamo chiesto pochi mesi fa agli studenti, presentando i risultati direttamente al ministro Valditara. Essenzialmente, chiedono benessere psicologico. Che non è solo lo psicologo a scuola, perché non sempre gli psicologi che entrano nelle scuole sono preparati, ci hanno detto. Chiedono una scuola che si renda conto del grave disagio che stanno provando. Un passaggio non immediato per gli adulti. Dire: “Siamo stati tutti adolescenti e studenti” non aiuta. Perché nessun adulto di oggi è stato studente ed adolescente nel periodo dei social media e del Covid. Due fenomeni che hanno indebolito fortemente i nostri ragazzi, sottoponendoli, allo stesso tempo, a pressioni fortissime.

Cosa serve, allora?

Una maggiore empatia e una migliore formazione a gestire l’impatto delle nuove tecnologie sui ragazzi. E una migliore organizzazione del lavoro e dello studio a scuola. Che significa, per esempio, un maggior coordinamento tra i professori delle diverse materie. Per evitare, banalmente, casi di studenti che, nello stesso giorno, hanno una verifica di una materia e un’interrogazione di un’altra. Anche questo contribuisce a generare pressione sui ragazzi.

Come se ne esce?

Cambiando il sistema, che non può essere “buonista” all’inizio e poi, all’improvviso, diventare cattivo. Ma deve aiutare, piano piano, i ragazzi ad essere valutati. E questo prescinde dal modello di valutazione, su cui non voglio entrare perché non sono un pedagogista. Mi limito, da giornalista, ad analizzare i dati, osservando questa repentina discontinuità nel passaggio dal primo al secondo ciclo scolastico.

 

BARBACCI (CISL SCUOLA) - «Un reclutamento più snello e retribuzioni adeguate per attirare i giovani laureati»

«Dalle notizie che ci arrivano dai territori, soprattutto dalle regioni del Nord, abbiamo la preoccupazione di non riuscire a coprire tutti i posti vacanti, quelli liberi, non le supplenze temporanee, che sono un’altra questione. Una criticità che, negli ultimi anni è stata molto significativa e che, dalle indicazioni che abbiamo, temiamo che si possa ripetere anche all’inizio di questo nuovo anno scolastico». Alla vigilia della ripresa delle lezioni per la grande maggioranza degli studenti italiani, cresce la preoccupazione della segretaria generale della Cisl Scuola, Ivana Barbacci.

Il ministro Valditara ha rassicurato: perché questi timori?

Perché, per esempio, il 50% dei concorsi Pnrr 2023 non sono terminati e quindi si arriverà a dicembre. Il Ministro ne è consapevole è ha varato una norma che proroga la possibilità di assunzione dal 31 agosto al 31 dicembre. Quindi, saranno nominati dei supplenti, che poi se ne andranno a gennaio, perché sostituiti dalle assunzioni in ruolo che non siamo stati in grado di completare al 1° settembre.

Come cambiare il sistema perché non si ripeta?

Ho apprezzato la disponibilità del Ministro a trattare con l’Europa, per creare le condizioni affinché i vincoli del Pnrr siano meno stringenti, permettendo di scorrere le graduatorie degli idonei.

Oggi, invece, come funziona?

Nei concorsi Pnrr si possono assumere esclusivamente i vincitori e non si possono scorrere oltre le graduatorie. Se, invece, l’Europa ci concedesse maggiore flessibilità, potremmo essere più capillari nei territori e facendo fruttare al massimo tutte le graduatorie. Mentre l’idea della Commissione europea è che ogni anno si facciano i concorsi e che i posti vadano centellinati anno per anno.

Forse in Europa hanno come riferimento un modello che non è quello italiano...

Proprio così. Tutto nasce dalla narrazione del nostro precariato e del nostro sistema di reclutamento, che non corrisponde alla realtà, che è stata fatta, non da questo governo, in sede europea. Quindi, Bruxelles si è fatta un’idea del nostro precariato che non corrisponde alla realtà.

Che cosa serve, in definitiva?

Oltre ad assumere in ruolo dal concorso ordinario, che però ha un bacino non sufficiente, si attinga, per i posti che restano vacanti, anche dalle graduatorie dei precari. Che hanno superato concorsi, che sono abilitati e hanno le carte in regola per poter essere assunti.

Chiedete, insomma, l’attivazione del cosiddetto “doppio canale”?

Esattamente. Un canale, da riservare ai più giovani, dei concorsi ordinari e un altro canale, a cui può corrispondere la metà dei posti, o i posti non coperti dai concorsi, da riservare al precariato storico. Che abbiamo nelle graduatorie e usiamo ogni anno per coprire le supplenze. Questo potrebbe risolvere il problema che, puntualmente, si ripropone tutti gli anni.

E come si può, invece, abbassare l’età media dei nostri docenti, i più vecchi d’Europa?

L’età media dei nostri insegnanti è alta, 54 anni. Detto questo, aggiungo che, per abbassarla e attirare i giovani, va rivalutata la funzione e il ruolo sociale degli insegnanti, rendendo la retribuzione dignitosa. Perché se per diventare insegnante servono quindici anni tra la laurea, il concorso e l’abilitazione per poi entrare in ruolo a 40 anni con 1.300 euro al mese, è evidente che i giovani scelgono un’altra strada. Noi dobbiamo rendere l’insegnamento una professione autorevole, come è stato per gran parte della nostra storia. Ma questa autorevolezza si conquista con un sistema di reclutamento snello e retribuzioni adeguate, che corrispondano alla responsabilità che si ricopre. Oggi, invece, non abbiamo né una retribuzione adeguata, né un sistema di reclutamento in grado di essere funzionale, sia rispetto alle aspettative delle giovani generazioni, sia del sistema stesso.

Sarebbe utile introdurre anche una progressione di carriera degli insegnanti, che oggi di fatto non esiste?

Sarebbe utile. È un percorso che vogliamo cominciare a trattare e negoziare nel prossimo contratto. Per superare questo appiattimento della professione dell’insegnante, che è un altro dei motivi di scarsa appetibilità della professione presso i giovani laureati. I tempi sono maturi e la Cisl è pronta ad avviare la trattativa.

Paolo Ferrario

Avvenire, 8 settembre 2024