UFFICIO NAZIONALE PER L'EDUCAZIONE, LA SCUOLA E L'UNIVERSITÀ
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Rilancio degli istituti tecnici

Una scuola che dà lavoro
18 Febbraio 2021

Tutto come previsto, anzi no. La conferma della centralità della scuola nel piano Draghi contiene molte sorprese. Una su tutte: lo spazio da dedicare alla formazione dei giovani negli istituti tecnici. Più che la (semi)bocciatura della Didattica a distanza, più che il 'riallineamento' del calendario scolastico alle esigenze della pandemia, più che la formazione del personale docente, è il richiamo al modello franco tedesco che valorizza gli studenti con competenze tecniche a svelare che l’Europa resta un modello. Anche sui banchi, in particolare per la capacità di far crescere i giovani e proiettarli poi nel mondo del lavoro.

«Particolare attenzione va riservata agli Itis, gli istituti tecnici – ha detto il presidente del Consiglio alla Camera –. In Francia e in Germania, ad esempio, questi istituti sono un pilastro importante del sistema educativo. È stato stimato in circa 3 milioni, nel quinquennio 2019-23, il fabbisogno di diplomati di istituti tecnici nell’area digitale e ambientale».

Serve uno scatto, fa intendere Draghi, anche perché, numeri alla mano, l’Italia resta soprattutto il Paese dei giovani liceali: le iscrizioni indicano ancora in crescita i licei, con il 57,8% delle preferenze, mentre per gli istituti tecnici la percentuale nazionale è del 30,3%, e i professionali (in calo continuo) sono scelti solo dall’11,9% degli studenti.

C’è un’ulteriore variante, assai importante da considerare nello scenario che ha in mente il premier. Se si guarda ai dati Regione per Regione, la partecipazione dei ragazzi alle scuole tecniche è assai più alta della media in particolare nel Nord Italia, dal Veneto (38%) all’Emilia Romagna e alla Lombardia (36%). L’attenzione alla formazione e alla crescita della 'locomotiva' settentrionale, trainata dalle imprese, è un obiettivo evidente per Draghi, che può contare anche su una compagine ministeriale ben radicata nelle Regioni del Nord. E l’asse tra una scuola che torna a formare giovani tecnici pronti a competere con i coetanei di mezza Europa piace sicuramente molto anche a Confindustria, che da tempo chiede di tornare a scommettere sull’istruzione tecnica, vero patrimonio di tante figure professionali di cui i territori hanno grande bisogno. Il Programma nazionale di ripresa e resilienza assegna 1,5 miliardi agli Itis, 20 volte il finanziamento di un anno normale pre-pandemia, e questo certamente è un segnale da valorizzare.

Poi c’è tutto il resto, nella prospettiva costituente evocata dal neoministro Patrizio Bianchi. Nelle sue idee, gli studenti dovrebbero poter acquisire la prima qualifica professionalizzante a 16 anni, garantendo l’attivazione immediata di tirocini formativi nelle aziende, per poter facilitare l’accesso al lavoro a chi abbia la necessità o la volontà di terminare gli studi subito, dando però poi la possibilità di proseguire attraverso l’iscrizione a un Its (Istituto tecnico superiore), cioè un corso triennale post secondario ad alta specializzazione. Collegata a questo progetto c’è anche la proposta di riduzione a 4 anni dell’istruzione superiore.

Conterà molto la definizione di traguardi chiari, con tempi e strumenti ben definiti. L’impressione è che poco verrà lasciato all’improvvisazione. «Restituire quanto prima le scuole a una situazione di normalità. È l’obiettivo enunciato dal presidente Draghi e non si può non condividerlo. Molto opportunamente, ha aggiunto che il ritorno a scuola deve avvenire in sicurezza» ha sottolineato ad esempio Maddalena Gissi, segretaria generale Cisl Scuola, mentre Francesco Sinopoli (Flc Cgil) ha parlato di necessità di «una strategia diversificata e mirata» per affrontare «il problema del recupero degli apprendimenti scolastici». Un programma molto vasto, come si vede. Ma l’idea di una scuola che guarda al futuro dei giovani, anche in chiave lavoro, rimane la vera scommessa.

Diego Motta

Avvenire, 18 febbraio 2021