Per adesso sono dieci giordani e sette tra siriani e altri palestinesi, questi ultimi sotto protezione internazionale e in condizioni economiche svantaggiate. Ma nei prossimi anni accademici, assicura il vicepresidente esecutivo della Luiss, Luigi Serra, gli studenti dell’Università di Petra, ad Amman, capitale della Giordania, coinvolti nel Progetto Mediterraneo saranno molti di più, «perché vogliamo dare un futuro migliore a quei giovani rifugiati che altrimenti sarebbero privi di prospettive o sradicati dalla loro terra». L’obiettivo è sostenere chi ha bisogno e non sprecare i talenti seguendo il metodo del dialogo, in una terra del Mare nostrum dove si incrociano la civiltà romana e quella araba.
I diciassette ragazzi, selezionati su criteri di merito e reddito, beneficiano di borse di studio erogate dalla Fondazione Terzo Pilastro-Internazionale guidata da Emmanuele Emanuele e hanno già seguito nelle aule dell’ateneo giordano le lezioni di statistica, microeconomica e matematica finanziaria insieme con i loro colleghi del corso di laurea triennale in Economics and Business. In più, rispetto agli altri, avranno la possibilità nel prossimo anno accademico di approfondire le materie con nuovi compagni italiani alla Luiss di Roma apprendendo anche l’italiano. In questo percorso saranno affiancati da docenti ed economisti di fama come Pietro Reichlin e Fausto Gozzi che sono stati mandati dalla Luiss ad insegnare alla “Petra” di Amman.
«L’idea è nata due anni fa, al culmine della crisi siriana: di fronte all’indifferenza dell’opinione pubblica e alle incertezze della politica internazionale, ci siamo chiesti, “che cosa fare”? – spiega Serra – e la risposta è arrivata quando, visitando il campo profughi palestinese di Gaza con la delegazione della nostra università, abbiamo notato lungo una strada un grande striscione in arabo nel quale un padre festeggiava la laurea del figlio. Abbiamo voluto aiutare i talenti, contribuire con un progetto a creare una nuova classe dirigente valorizzando gli studenti con lo status di profugo o rifugiato, pagando loro gli studi, mandando i nostri professori sul posto e consentendo ai ragazzi che possono trasferirsi di venire in Italia per un anno di perfezionamento». «Non so però chi ci guadagni di più in questa esperienza – prosegue Serra – perché noi riceviamo molto, tenuto anche conto anche del giudizio positivo che l’Italia, e con essa il made in Italy gode in quell’area del Medioriente».
L’università di Petra (si chiama così perché evoca l’antica città edomita i cui resti oggi rappresentano un simbolo della civiltà sorta in Giordania nell’VIII secolo a. C.) ha accolto l’iniziativa con grande ospitalità e spirito di collaborazione. E gli studenti selezionati hanno dimostrato entusiasmo. Le loro storie sono commoventi. «Grazie al Progetto Mediterraneo riuscirò a realizzare il mio sogno di studiare Economia e magari un domani di aprire un’azienda » è il commento di Nour, 20 anni, iscritta al 1° anno di Business Administration. Dania invece vorrebbe diventare una top manager: ha tre fratelli e quattro sorelle ma la famiglia la sostiene in questo suo desiderio. Huda, siriana 26enne ha sei fratelli, una bambina di sei anni ed è vedova: sta studiando economia e imparando l’italiano anche se per adesso non ha in programma di partire perché deve badare alla figlia. Vuole fare il risk manager Omar, 20 anni, palestinese mentre Alì, 26 anni, per mantenersi agli studi universitari insegna arabo e matematica in una scuola di Amman: vorrebbe specializzarsi in risorse umane e psicologia aziendale. L’obiettivo di Mariam, una giordana di 19 anni che vive in una famiglia di sole donne (mamma e tre sorelle) è quello di continuare nella carriera accademica fino a diventare una docente universitaria. Sogni nel cassetto destinati a diventare, molto presto, una realtà.
Fulvio Fulvi
Avvenire, 8 agosto 2018