UFFICIO NAZIONALE PER L'EDUCAZIONE, LA SCUOLA E L'UNIVERSITÀ
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Ricordare Maria Montessori per salvare la pedagogia

La pedagogista, nata 150 anni fa, mise al centro l’educazione alla libertà del bambino
5 Marzo 2020

La storia di Maria Montessori è esemplare: una delle prime donne a laurearsi in medicina, con non poche e ovvie difficoltà in un mondo completamente dominato dagli uomini, si impegnò da subito nel movimento di emancipazione femminile e iniziò le sue attività professionali nel settore che all’epoca si definiva “dei deficienti”, quello che oggi chiameremmo “delle malattie mentali e psichiatriche”. Lavorò a fianco di Giuseppe Montesano con cui ebbe una relazione (mai sfociata nel matrimonio), dalla quale nacque un figlio quando lei aveva 28 anni. In accordo con il collega e padre del bambino, questi venne affidato a una famiglia dell’Agro Pontino.

Questa sofferenza segnò inequivocabilmente la sua vita e il suo interesse si spostò completamente verso i bambini. In questo settore, applicò quello che era lo spirito dei tempi dal punto di vista scientifico: positivista e molto concreto. Recuperò i materiali di Édouard Séguin e Jean Itard, che avevano lavorato tantissimo con i bambini cosiddetti “deficienti” agli inizi dell’Ottocento, in piena rivoluzione illuministico– rousseauiana, e su quella base costruì i suoi straordinari materiali con cui ottenne risultati favolosi proprio nell’alfabetizzazione dei bambini ritardati. Risultati che all’inizio del Novecento lasciarono sbigottiti alcuni importanti rappresentanti della borghesia romana dove la Montessori fece i primi esperimenti e che le consentirono di aprire, nel 1907, la famosa Casa dei Bambini nel quartiere San Lorenzo. Qualche anno dopo (1912), pubblicò il suo Metodo, una grande opera pensatissima con tutti i dispositivi, i materiali e l’organizzazione delle sue scuole che nel frattempo avevano incominciato a diffondersi in tutto il mondo. Durante l’epoca fascista, Mussolini cercò di “appropriarsi” di Maria Montessori, vista la sua fama internazionale, ma l’operazione fallì: è un metodo che con il dispotismo non può avere alcuna affinità. Venne il momento in cui fu costretta a lasciare l’Italia. Un regime totalitario non vuole avere scuole dove i bambini vengono rispettati come individui pensanti perché potrebbero costituire un pericolo per il sistema. Per la stessa ragione in Spagna durante la dittatura franchista e nella Germania di Hitler non ci sono state scuole montessoriane.

Vale la pena ricordare i basilari scientifici e pedagogici su cui si basa la rivoluzione di Maria Montessori:

  1. Il bambino e la bambina rappresentano le basi della vita umana, ossia delineano le condizioni perché risulti degna di essere vissuta. Fare le cose giuste da piccoli, almeno nei primi sei anni, rappresenta quella che anche i grandi scienziati hanno definito la costruzione di una “base sicura”. La Montessori lo intuì in un’epoca in cui l’attenzione ai bambini non era quella che promuoviamo oggi.
  2. Per far crescere bene i bambini ci vuole metodo e lei ne inventò uno basato sulla costruzione di un ambiente dove i piccoli possono fare esperienza e dove gli adulti sostengono queste esperienze senza sostituirsi, e dove la sensorialità costruisce l’apprendimento. Le famose letterine smerigliate ne rappresentano un esempio straordinario, così come i materiali concreti utilizzati in matematica (i fuselli e i gettoni in legno, le aste numeriche, le perle dorate).
  3. La libertà: l’introduzione del tema della libertà nel sistema educativo fu una novità forte. Un secolo prima, Rousseau l’aveva dichiarato nell’Émile, ma la Montessori lo concretizzò in un metodo: sono i bambini che scelgono cosa fare, cosa non fare e come organizzarsi. Ha sempre ripetuto due cose: «voglio andare in una Casa dei Bambini e non accorgermi della presenza delle maestre» e il famosissimo «Aiutami a fare da solo», la sintesi perfetta dello spirito montessoriano nella logica che la libertà è sempre formativa. Ricordiamo Maria Montessori a 150 anni dalla nascita, avvenuta il 31 agosto 1870, ma anche la crisi della pedagogia che stiamo vivendo, quella buona, non quella dei baroni e delle accademie, quella pratica che organizza i processi educativi e di apprendimento. L’Italia sta subendo gravi conseguenze, sia sul piano scolastico che su quello genitoriale, per la mancanza di una scienza riconosciuta che regoli questi processi.

Per capirla fino in fondo bisogna andare sulla sua tomba, in Olanda a Noordwijk sul Mare del Nord. Aveva chiesto di essere sepolta dove fosse morta, dichiarando da sempre di sentirsi cittadina del mondo. E quel giorno, il 6 maggio 1952, a 82 anni, si trovava lì nella casa di vacanza del figlio Mario che l’aveva seguita per tutta la vita. Le parole che compaiono sulla sua pietra non lasciano dubbi sulla costante missione di questa grande scienziata: “ Io prego i cari bambini, che possono tutto, / di unirsi a me per la costruzione della pace / negli uomini e nel mondo”.

Candidata due volte al Nobel per la Pace, non le fu mai attribuito, lasciando un vulnus enorme nella storia di questo prestigioso Premio, mai consegnato a figure del mondo educativo. Che i 150 anni dalla sua nascita siano l’occasione per una memoria attiva, consapevole, che riporti al centro dell’attenzione i temi dell’educazione e della buona crescita dei bambini.

Daniele Novara

Avvenire, 3 marzo 2020