Riconoscimento reciproco dei ruoli, dialogo e recupero di una comunità educante. Non si può parlare di vera e propria ricetta per affrontare le difficoltà dell’oggi nella scuola, ma Marco Rossi Doria, già maestro di strada e docente, esperto e per due volte sottosegretario all’Istruzione, ha le idee chiare su come dare una svolta.
Professore, queste aggressioni ai docenti sono episodi eclatanti o il segnale di una situazione più grave?
Siamo di fronte a un contesto educativo profondamente in crisi. Incontro famiglie e studenti che si pongono in un contesto scolastico accettabile. Non possiamo, però, parlare solo di fatti occasionali. Credo che sia giunto il tempo di potenziare il dialogo tra scuola e famiglia.
Lei parla di dialogo, ma qui spesso si finisce con vere e proprie aggressioni.
Ecco perché parlo della necessità di un riconoscimento reciproco dei ruoli di ciascuno: docenti, genitori e studenti. Un tempo forse esisteva un patto educativo implicito, forse brutale - il professore ha sempre ragione -, che oggi non esiste più. Occorre ripristinarlo adattandolo ai tempi. Spesso le famiglie nel crescere i loro figli non alternano il loro compito educativo tra protezione e promozione dei propri figli. Oggi si tende alla protezione, per evitare loro rischi - che spesso, invece, aiutano a diventare grandi - con il risultato di crescere giovani incapaci di affrontare la vita.
Qualcuno potrebbe parlare di atto d’accusa nei confronti dei genitori.
Non intendo invadere il campo della famiglia, così come quest’ultima non dovrebbe farlo con la scuola. Il riconoscimento reciproco dei ruoli serve proprio a questo: mettersi attorno a un tavolo, conoscere diritti, doveri e norme che regolano la scuola, che non sono quelle utilizzate in famiglia.
Ma le famiglie sono accusate di delegare troppo alla scuola.
E quando non intendono farlo e mancano regole chiare, ecco i risultati. Le assicuro che questa strada del riconoscimento reciproco è già reale in molti istituti e produce i suoi frutti. Anche in realtà che si pensano perse.
Qualche esempio?
Nei Quartieri Spagnoli di Napoli già anni fa abbiamo messo in campo un progetto di questo tenore. E la scuola era frequentata da bambini con famiglie difficili alle spalle. Ma davvero difficili. Eppure mettendo regole chiare, riconoscendo il proprio ruolo a tutti abbiamo raggiunto risultati incredibili. Persino genitori che si trovano in carcere, hanno mostrato rispetto per il nostro lavoro. Si sono sentiti riconosciuti come papà o mamme di nostri alunni.
Sembrerebbe una ricetta semplice. È così?
Non parlerei di ricetta, ma di buone pratiche che già sono presenti nella nostra scuola. Ovviamente questi progetti non eliminano magicamente i problemi. Ma permettono di creare spazi, occasioni e condizioni differenti per gestire queste crisi. Vede, non si può arrivare a giugno e dire: «Suo figlio è bocciato». Occorre un percorso diverso, nel quale vi siano tappe nelle quali fare “manutenzione ordinaria” di questo patto, durante il quale si cerchi di accompagnare lo studente a migliorare. Insomma mettere in campo un’azione educativa che richiede molto soprattutto ai docenti.
E così torniamo al punto di partenza: tutto sulle spalle dei docenti.
A fare il primo passo penso che debbano essere i professionisti dell’educazione. È un loro compito. Ovviamente, è lo voglio dire chiaro, la società deve però riconoscere questo compito e questo ruolo sociale della scuola. Anche economicamente.
I docenti sono pronti a questo?
Occorre una formazione più calda dei docenti, con un professore tutor per i nuovi assunti almeno per due anni. E poi introdurre momenti di confronto tra i docenti, come avviene nella primaria, per programmare insieme, per camminare insieme, per affrontare i problemi.
Enrico Lenzi
Avvenire, 20 giugno 2018