UFFICIO NAZIONALE PER L'EDUCAZIONE, LA SCUOLA E L'UNIVERSITÀ
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

«Ragazzi, non abbiate paura di parlare. Le università al fianco delle famiglie»

Dopo gli ultimi suicidi tra gli universitari, parla il presidente della Crui Cuzzocrea
12 Aprile 2023

Pressione sociale, aspettative dei genitori e paura del fallimento. Un mix micidiale e pesantissimo per tanti, troppi studenti universitari che, di fronte e un intoppo del percorso di studi, decidono perfino di togliersi la vita pur di non essere costretti a rivelare ai genitori che quella laurea, tanto aspettata e desiderata, è ancora ben lontana. Quest’anno è già successo tre volte, l’ultima la settimana scorsa a Chieti, dove uno studente 29enne iscritto a Medicina all’università “D’Annunzio”, ha deciso di farla finita schiacciato dalle continue bugie dette ai familiari sull’andamento del proprio percorso di studi. Un mese fa, il 2 marzo, si è uccisa a 27 anni, buttandosi giù da un dirupo a Somma Vesuviana, in provincia di Napoli, Diana, a cui mancava un solo esame, latino, per la laurea in Lettere moderne, schiacciata dal peso di aver comunicato a tutti la falsa data della sua laurea. Il 1° febbraio una giovane di soli 19 anni si è impiccata nei bagni dell’Università Iulm di Milano. In una lettera di addio, riconduceva il gesto alla percezione fallimentare della propria vita e del proprio percorso di studio. Secondo una recente indagine di Skuola.net, uno studente su tre almeno una volta ha mentito sulla propria carriera universitaria e quasi uno su due sente su di sé la “pressione sociale” e le aspettative della famiglia e degli amici. Se le bugie fossero scoperte, il 25% si farebbe prendere dalla disperazione e un altro 25% penserebbe seriamente di farla finita. Un quadro più che preoccupante. (P. Fer.)

«Parlate. Confrontatevi con i professori, con i colleghi e con le famiglie. Le università sono al vostro fianco. Non dovete avere paura di parlare. Chiedere aiuto è sintomo di intelligenza, non un motivo di debolezza. Chi chiede aiuto deve sapere che nelle università troverà sempre ascolto. Ed essere bocciati all’esame non è un dramma. Ci si rialza e si va avanti». E poi, magari, a 50 anni, si finisce pure per diventare il presidente dei Rettori italiani, come è capitato a Salvatore Cuzzocrea. Dal 2018 rettore dell’Università di Messina, dov’è ordinario di Farmacologia, da dicembre è il nuovo “numero uno” della Crui. «Ma non avevo certo la media del 30 e lode», ammette senza problemi. E accetta di raccontare anche parte della propria vicenda personale per dire ai ragazzi che «non è il voto che li definisce» e che la vita, universitaria prima e lavorativa poi, «è un percorso, una maratona».

Professore, eppure non tutti, anche negli ultimi tempi, sono in grado di sostenere la sfida che, in certi casi, diventa così faticosa da far decidere di mollare. L’ultimo studente che si è tolto la vita parlava della propria «vita inconcludente e inutile»: che effetto le fanno queste parole?

Sono il grido di una generazione che ha bisogno di aiuto. Bisogna stare molto vicini a questi studenti. C’è bisogno di un confronto, un dialogo e una programmazione continua, tra scuola, università e famiglia. Questi ragazzi mentono alle famiglie perché lo standard che si sono messi in testa non corrisponde alla vita reale. Non tutti possono guadagnare quanto Totti, ma anche Bruno Conti è Campione del Mondo. Invece, oggi se non sei Cristiano Ronaldo o Messi non sei nessuno. Ma non è così. La realtà non è questa.

Eppure, se uno studente su tre arriva a mentire ai genitori sulla propria carriera universitaria, un problema c’è...

Che ci sia un problema è fuori di dubbio. Dobbiamo capire come risolverlo. Da parte delle università c’è una grande attenzione, ma questo è un fenomeno che va affrontato molto prima, a partire dalla scuola elementare. Perché è lì che comincia il confronto, quando il bambino che prende otto si adombra perché il compagno di banco ha preso dieci. Insomma: bisogna dire, una volta per tutte: non è un voto che ti definisce.

Quando pesano le pressioni delle famiglie e, a suo avviso, si può parlare di “frattura” tra genitori e figli per ciò che riguarda le aspettative legate alla laurea?

Non parlerei di frattura, perché la famiglia è il nucleo centrale della formazione dei nostri giovani. Una generazione che non è abituata ad affrontare le difficoltà, perché, molto spesso, sono proprio gli stessi genitori a risolvere i problemi dei figli. Almeno, questo è ciò che osservo.

Non sarà che, a forza di enfatizzare il mito del merito, per qualcuno raggiungere il successo scolastico diventi addirittura un’ossessione?

Dobbiamo intenderci sul concetto di merito. Perché se merito significa che o diventi miliardario o non sei nessuno, allora siamo fuori strada. Bisogna distinguere merito e successo: sono aspetti diversi ed è il secondo che genera ossessione. Steve Jobs quando ha iniziato non sapeva che sarebbe diventato Steve Jobs. Ha avuto anche lui dei fallimenti. E, purtroppo, si è dovuto confrontare con problemi che nemmeno il suo denaro gli hanno permesso di superare.

Insomma: si può essere felici e appagati anche senza laurearsi con 110 e lode...

Certamente. E, invece, tanti giovani, se non prendono 110 e lode, sono convinti di non essere nessuno. Non è così. Il merito è una maratona a ostacoli che comincia dal liceo. Anzi, dalle elementari. Ci sono tantissimi medici, ingegneri bravissimi che non hanno preso 110 e lode. Non è il voto della laurea che dimostra se uno è bravo. È un percorso. Ripeto: il voto non definisce una persona.

Cosa risponde agli studenti che accusano «l’università neoliberale» di aver creato questo sistema competitivo?

Non esiste un’università neoliberale. Esiste un’università che è vicina alle famiglie e che sente la responsabilità di collaborare per dare a questi ragazzi tutte le opportunità possibili per formarsi e costruirsi il futuro.

Basteranno i 100 milioni per il supporto psicologico?

È un progetto importante: già 60 atenei lo fanno. Ma bisogna fare prevenzione. Evitare che i ragazzi arrivino all’università con questi problemi. Dobbiamo agire prima. Queste difficoltà nascono nelle famiglie. Le università vogliono stare al loro fianco, perché prevenire è più efficace che curare.

Paolo Ferrario

Avvenire, 12 aprile 2023