«L’oratorio parte da un’amicizia, da uno stile di famiglia, che è lo stile salesiano della presenza di Dio». È stato don Elio Cesari, presidente del Cnos (Centro nazionale opere salesiane) a suggellare la Summer school che, per il secondo anno, ha caratterizzato la Festa d’estate dell’Anspi (Associazione nazionale san Paolo Italia) che si è svolta a Bellaria Igea Marina (Rimini) fra l’1 e l’8 settembre. La Summer school, che ha radunato un centinaio di animatori e responsabili di oratori di tutt’Italia, ha proposto un livello base di formazione per coloro che la affrontavano per la prima volta, e un livello più approfondito per chi l’aveva frequentata nel 2023. In chiusura si è svolto il convegno «Oratorio e scuola», con focus sul doposcuola «come nuovo rapporto con i ragazzi che frequentano l’oratorio», come ha spiegato Mauro Bignami, responsabile dell’équipe nazionale di formazione.
Moderato da Enrico Carosio, docente dell’Università Cattolica, che ha sottolineato come la pandemia abbia cambiato il nostro modo di leggere il mondo, il convegno ha visto dapprima l’intervento del presidente dell’Anspi, Giuseppe Dessì, il quale si è soffermato sull’humus dell’oratorio bresciano. «Nel nostro fondatore, monsignor Battista Belloli, il cardinale Battista Montini (futuro Paolo VI, ndr) intravedeva la capacità di creare un’associazione nazionale capace di coniugare due importanti filoni educativi bresciani: la formazione professionale avviata da san Giovanni Battista Piamarta (1841-1913) attraverso gli Artigianelli, e la tradizione del catechismo, incarnata da monsignor Lorenzo Pavanelli (1876-1945). Erede di questi fermenti culturali, nel 1963 monsignor Belloli fondò l’Anspi, in continuità col pensiero di Paolo VI, che riteneva l’oratorio il serbatoio dove tutte le associazioni attingono per infoltire le loro schiere».
Anche don Cesari si è rifatto alla tradizione salesiana, ricordando che san Giovanni Bosco «nel domandarsi chi sono i poveri in oratorio, rispondeva: sono quelli che danno fastidio. Nel suo sistema di oratorio individuava tre poli: la Chiesa, il cortile e la scuola. E nelle attività didattiche includeva anche la musica, qualcosa che non ha attinenza pratica ma stimola il gusto del bello, ovvero ciò che serve a elevare l’uomo».
Riportato all’oggi, questo pensiero corrisponde a quella che si definisce inclusione, da cui discende che «il doposcuola in oratorio non è una deroga alla norma, bensì un caposaldo, perché se la scuola fa da introduzione alla vita, l’oratorio è quello snodo che ne permette la realizzazione. Chi fa da sé - ha aggiunto don Cesari - fa poco. Per i suoi oratori, don Bosco era alla costante ricerca di forze, di quella che noi chiamiamo rete. Lui è stato un maestro nella nobile arte di farsi aiutare».
Ma la vocazione ultima dell’oratorio rimane legata alla salvezza delle anime, che si instaura «con la capacità di accogliere chi partecipa alle nostre attività, avendo l’umiltà di metterci nei suoi panni. Perciò, anche per il doposcuola occorre trovare la modalità per cui sarà il ragazzo che “firma” un contratto reciproco, ma lo fa se scopre insegnanti dotati di motivazione e di voglia di incontro. Senza poi dimenticare il rapporto con le famiglie, che spesso sono molto affaticate. È quindi indispensabile mettere in campo anche una capacità supplementare di accompagnamento dei genitori, che vada in parallelo al cammino dei ragazzi. Se il doposcuola porta con sé tutto questo, per funzionare deve essere ben inserito nel progetto di oratorio: perché, si scusi il gioco di parole, il bene va fatto bene, non in qualche modo». E in conclusione, rivolgendosi alla platea degli animatori, don Cesari ha loro ricordato: «Per tanti ragazzi che entrano in oratorio, il volto di Dio che incontrano è la vostra capacità, la vostra forza, la vostra accoglienza. Questo dovete mettere in campo, perché ciò è l’essenziale».
Stefano Di Battista
Avvenire, 12 settembre 2024
(foto Cesare Stoppiani)