Sono pochi gli italiani della mia generazione che sono cresciuti senza avere letto i fumetti di Topolino, il periodico che illustrava le allegre avventure del più popolare personaggio disneyano, Mickey Mouse, e della sua corte di animali dalle virtù e dai vizi umani. Nella famiglia del generoso Paperino era possibile leggere antropomorficamente le nostre famiglie, con i membri ben riconoscibili nella loro identità personale e nei loro rapporti affettivi e generativi: da nonna Papera a madre Ortensia e agli allegri nipoti Qui, Quo e Qua, dallo stravagante cugino Paperoga all’ingegnoso zio Pico De Paperis e al ricco e avaro zio Paperone.
Settant’anni fa nasceva la rinnovata versione italiana a libretto di Topolino, erede degli albi editi da Nerbini prima e successivamente da Mondadori. Un libretto di cento pagine al prezzo di 60 lire, con cadenza mensile e poi settimanale, la cui uscita il mercoledì era da molti di noi ragazzi attesa in edicola con impazienza e dai nostri genitori con la fiducia di chi metteva nelle mani dei propri figli una lettura di sano divertimento, mai diseducativa. Questa sintonia con la reale antropologia della famiglia – simbolica, colorata e affascinante, come si conviene per i piccoli lettori, ma apprezzata anche dai grandi – ha caratterizzato la lunga fortuna dei personaggi e delle loro storie usciti dalla penna degli artisti della Walt Disney Company. Una sintonia che ha iniziato a spezzarsi domenica 26 gennaio 2014, quando Disney Channel, canale televisivo destinato all’infanzia, ha mandato in onda un episodio della serie 'Buona fortuna Charlie', per la prima volta, con le due mamme lesbiche.
Da qualche anno, la Disney sembra avere imboccato una strada diversa nel creare e presentare i suoi cartoni animati, che la sta portando ad abbracciare l’agenda della 'rivoluzione del gender' nel concepire e presentare le figure e le avventure dei suoi personaggi, la cui identità sessuale stilizzata risulta sempre più fluida e le cui relazioni affettive e generative assumono ogni possibile orientamento e immaginazione, accendendo nella curiosità e fantasia dei giovanissimi destinatari del 'prodotto da divertimento' tensioni e accenti in direzione opposta alla realtà della famiglia in cui vivono e al percorso educativo proposto dai loro genitori e da quanti collaborano con essi nella formazione dei figli.
Si tratta di un errore pedagogico perché nasce da un errore antropologico e coinvolge i più sensibili e fragili tra i soggetti da accompagnare educativamente nella vita, introducendoli passo dopo passo alla realtà della persona umana e delle sue genuine relazioni affettive e generative.
In questo giudizio ci è di guida il Santo Padre Francesco che a Napoli, l’11 marzo 2015, ammoniva i giovani a diffidare di «quello sbaglio della mente umana che è la teoria del gender, che crea tanta confusione». Riprendeva così le parole di Benedetto XVI: «La profonda erroneità di questa teoria e della rivoluzione antropologica in essa soggiacente è evidente» (21 dicembre 2012).
Il 20 novembre scorso è stata consegnata al Parco Disney di Orlando (Florida), una petizione di genitori, nonni ed educatori (oltre 485mila firme) che chiedono ai manager e agli amministratori della Walt Disney Company di invertire la rotta lungo il pendio scivoloso della genderizzazione dei prodotti di divertimento per bambini, cartoons e non solo. «I parchi di divertimento Disney sono considerati un luogo sicuro dove le famiglie possono divertirsi insieme – ricordano – e la Disney ha un primato particolare
nell’intrattenere e affascinare i bambini ». Per questo i genitori chiedono che la Disney «non indottrini i loro figli con un’agenda politica» indirizzata dalle teorie Lgbtq.
Una richiesta ragionevole da parte del soggetto primario dell’educazione dei figli che sono i genitori, indirizzata a chi ha fatto dell’intrattenimento multimediale dei bambini l’oggetto della propria attività artistica e produttiva e di una fortuna economica internazionale, perché siano rispettati nel loro percorso di crescita umana i più piccoli e fragili tra i fruitori del divertimento.
Roberto Colombo
Avvenire, 27 novembre 2019