Chi, commentando la proposta contenuta nell’emendamento Malagola di istituire un voucher di 1.500 euro da spendere per l’istruzione dei figli, lamenta la sottrazione di fondi alla scuola pubblica pecca evidentemente di ignoranza o di malafede. E pecca due volte.
La prima perché non sa, o finge di non sapere, che da 25 anni, ovvero dalla promulgazione della Legge 62/2000, il sistema formativo di istruzione ed educazione in Italia contempla tanto le scuole statali quanto le scuole non statali, che più propriamente andrebbero definite “paritarie” e non “private”. Le scuole paritarie sono possedute e gestite da enti diversi dallo Stato, ma sono a tutti gli effetti scuole pubbliche. Infatti, per passare da una classe a quella successiva, non è richiesto il superamento di un esame, come accade per le scuole private. Chi siede in Parlamento o scrive sui giornali non può non saperlo.
Il secondo errore è quello di ritenere e di indurre a pensare che la scuola statale sia gratuita e non pesi sulle tasche dei cittadini che, al contrario, sono tutti obbligati a sostenerla pagando le imposte, anche quelli che scelgono la scuola paritaria per i propri figli. Chi riveste una carica pubblica non può non sapere che lo Stato sostiene annualmente un costo per l’istruzione pari a circa 7.500 euro per ogni studente della scuola statale. Costo sostenuto dalla collettività, mentre il costo di coloro che, pur avendo diritto a frequentare una scuola statale, vengono invece istruiti in una scuola pubblica paritaria è a carico delle famiglie. Quindi, se c’è qualcuno che avrebbe il diritto di alzare la voce e lamentarsi sono i genitori degli studenti delle scuole paritarie che versano l’Irpef - pagando parte di quei 7.500€/studente alla scuola statale - e allo stesso tempo sostengono anche una retta annuale per poter liberamente scegliere la scuola dei propri figli. Genitori in larga parte cattolici che preferiscono l’istruzione impartita da un istituto pubblico paritario con la persona al centro e che per questa scelta soffrono un aggravio di spesa sulla base di una ingiustificata discriminazione.
L’Agesc, sin dalla sua promulgazione, denunciò che la Legge 62/2000, nell’istituire la parità giuridica tra scuole statali e non statali senza al contempo prevedere alcun sostegno economico per le seconde, lasciava incompiuta ogni effettiva equiparazione e libertà di scelta effettiva.
Questi 25 anni ci hanno dato ragione e la discriminazione verso gli istituti paritari e le famiglie che li scelgono sono rimaste intatte se non addirittura peggiorate, trovando sempre nuovo alimento nelle stesse bugie ideologiche propinate da decenni.
Una delle grandi bugie è, ad esempio, quella che i fondi alle scuole paritarie sarebbero destinati alle “scuole dei ricchi”. Chi fa un’affermazione del genere non conosce la storia o meglio le tante storie di istituti cattolici, nati proprio per offrire un’istruzione ai ragazzi degli strati sociali più umili e svantaggiati. Inoltre ignora anche che nel resto d’Europa, dove il sostegno alle scuole non statali vige da più lungo tempo, la differenziazione sociale tra istituti è inesistente. In Francia o in Olanda non c’è differenza di ceto tra gli studenti di una scuola statale e di una paritaria. La distribuzione di reddito delle famiglie è la medesima, perché la scelta educativa è veramente libera e non condizionata dalle possibilità economiche delle famiglie.
Restano solo la Grecia e l’Italia in tutta l’area Ue a non voler vedere questa semplice verità. Nel nostro Paese sono numerose le famiglie dei ceti medio-bassi che a costo di sacrifici scelgono di pagare la retta ad un istituto paritario pur di dare ai figli l’istruzione ritenuta più adeguata e conforme ai propri valori personali e di fede.
Verrebbe da chiedersi cosa abbiano fatto di male queste famiglie a politici e giornalisti che si indignano, se un emendamento alla Finanziaria punta a dare loro un po’ di sollievo. Senza contare che, a soffrirne è l’intero sistema scolastico, visto che, in assenza di un’offerta plurale, si dibatte in una eterna crisi i cui prodromi vanno dai bassi risultati nei test Pisa ai tassi di dispersione scolastica scoraggianti. La compianta professoressa Ribolzi lo definì in un suo celebre saggio “il sistema ingessato”.
Qualcuno tra gli indignati della scuola statale forse teme che rompere lo schema, liberare la domanda di istruzione, rendendo possibile la scelta, porterebbe alla fine di rendite politiche e prebende di Stato che sempre sono garantite dal monopolio. Di certo una cosa che il monopolio garantisce sono l’inefficienza e la bassa qualità dei servizi. Lo dice la teoria economica classica, lo conferma l’esperienza dei paesi illiberali.
Umberto Palaia, Presidente Agesc
Avvenire, 22 novembre 2024