UFFICIO NAZIONALE PER L'EDUCAZIONE, LA SCUOLA E L'UNIVERSITÀ
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

“Professori senza più alibi nell’uso delle tecnologie”

Alessandra Carenzio (Cremit): Non è possibile preparare una lezione online come se fosse in presenza
29 Maggio 2020

«Alibi non ce ne sono più. Gli insegnanti hanno possibilità molteplici, varie nelle forme, nei modi, nei tempi e nei contenuti, per raggiungere un buon livello, e anche ottimo, volendo, di competenza digitale»: Alessandra Carenzio è docente e ricercatrice del Cremit – il Centro di ricerca sull’educazione ai media, all’innovazione e alla tecnologia dell’Università Cattolica di Milano – e la formazione degli insegnanti è il suo pane quotidiano.

Eppure, una parte del corpo docente è arrivata impreparata all’appuntamento con l’imprevisto, scoprendo che la buona volontà, la capacità di improvvisazione e lo spirito di adattamento, che pur abbondano, non bastano.

Insegnanti e dirigenti scolastici possono imboccare tre strade, quando si tratta di intraprendere o proporre la formazione al digitale. Attivare percorsi che abbiano un seguito didattico, e che quindi prevedano una parte esercitativa, dove la teoria venga applicata nella pratica. Oppure, possono optare per una formazione che non contempli la messa alla prova delle competenze acquisite. Infine, possono non intraprendere nessun percorso. Va da sé che la prima strada è la migliore, la più efficace. In questi anni, il ruolo della tecnologia nella didattica è stato sottovalutato e, di conseguenza, mal gestito, non ovunque se ne è compreso il peso cruciale.

Si può recuperare?

Un ruolo molto importante lo hanno giocato, e lo giocheranno sempre più, i dirigenti scolastici. Specie quelli più illuminati, capaci di indirizzare il proprio corpo docente verso la formazione teorica ed esercitativa. Tantissime volte è la scuola a costruire pacchetti formativi che poi propone agli insegnanti e la scelta del modello ha fatto la differenza.

L’iniziativa del singolo può essere comunque efficace?

Autoformazione e peer education sono alla portata di tutti. Non ci sono più scuse, perché ai corsi tradizionali si sono aggiunti quelli a distanza che si possono seguire a qualsiasi ora del giorno e della notte, ovunque ci si trovi. L’offerta formativa online è ampia e spesso gratuita, in lingue diverse. Mooc, webinar, tutorial, moduli, schemi, esempi...

Se gli strumenti ci sono, cos’è che porta al divario, che innegabilmente esiste, tra un insegnante e l’altro? Si può ancora parlare di divario digitale, inteso come mancanza di strumenti, di 'device'?

No, certo, questa distanza ormai è superata. Può essere che non tutti abbiano un tablet, oppure un pc. Ma chi non ha uno smartphone? Né esiste più il divario alfabetico, visto che le macchine sono sempre più facili da usare.

Quindi, cosa fa la differenza?

Rimane solo il divario culturale. La distanza che c’è tra il considerare la tecnologia una risorsa e viverla come una calamità, vederci un nemico da combattere. Chi una competenza l’ha acquisita sa, per esempio, che non è possibile pensare le lezioni online come se fossero in presenza.

Significa che non è sufficiente sistemarsi davanti alla telecamera e cominciare a parlare?

È sufficiente, ma estremamente riduttivo, vuol dire sprecare una possibilità. Lo strumento cambia il modo. E magari lo migliora. Per questo non regge la proposta di garantire le distanze facendo sì che metà degli studenti segua le lezioni in classe e l’altra metà da casa.

Perché?

Uno dei due gruppi sarebbe penalizzato. Per quale dei due sarebbe pensata la lezione?

Nicoletta Martinelli

Avvenire, 28 maggio 2020