In questa nostra epoca tormentata si evoca sempre più spesso un nuovo modello di sviluppo, che faccia tesoro degli errori della globalizzazione. Si levano voci di studiosi che, sulla scia di Papa Francesco (Laudato si’, Fratelli tutti), argomentano la necessità per l’umanità di fermarsi e di “ripensarsi”. Da dove ripartire, dunque? Le leggi di sopravvivenza che sono scritte nei codici della natura ci dovrebbero, davanti all’abisso della guerra totale, trasmettere un vitale brivido di orrore: che stiamo facendo, noi vogliamo vivere!
Lo vogliamo come specie, lo vogliamo come singoli individui. È il momento di scuoterci dall’ipnotico torpore e dare una sterzata alle nostre scelte collettive. Esiste una provvidenziale pista di decollo da imboccare per ripartire con nuova energia e speranza e si chiama proprio infanzia. Sì, stiamo parlando di quegli angioletti dentro le nostre case o che vediamo in tv (tanto più sfortunati dei nostri); che ci guardano da sotto in su con i visini innocenti, gli sguardi limpidi e sorridenti, chiedendoci con gli occhi protezione, una coccola, un po’ di pappa. Ma nel dibattito pubblico i bambini sono invece invisibili, uno sguardo distratto a quelli della cronaca nera - secondi di pietà - o a quelli patinati della pubblicità che servono a “fare atmosfera”.
Si parla di asili nido e di bonus, è vero, ma è troppo poco davvero. La distanza siderale dalla realtà dei bambini ha toccato punte impensabili, si vuole addirittura legalizzare la possibilità di ordinarli, come una giacca su misura. Star del jet set confessano di essersi rivolte a questa pratica per non sciupare il fisico, coppie omosessuali la ritengono un diritto pacifico, Il dibattito pubblico sull’infanzia continua ad essere marginale e spento. Siamo ormai, con la complicità degli smartphone, inebriati da uno stolido narcisismo.
C’è bisogno di qualcosa che scuota potentemente l’umanità da questo innamoramento stregato e onanistico, che produca un soprassalto di attaccamento alla vita. L’uomo è un essere relazionale e allora perché non riprendere entusiasmo a partire dalla relazione primaria, dal prenderci veramente cura dei piccoli, individualmente ma anche come comunità? Disegnando a livello istituzionale una nuova centralità della bambina e del bambino: politiche per i bambini richiedono un piano concertato tra competenze istituzionali che sappia affrontare i tanti disagi dell’infanzia. Papa Francesco, sempre un passo avanti a tutti noi, da mesi ha annunciato per il 25 e 26 maggio la prima giornata mondiale dei bambini (GMB). Un’idea memorabile, rifondativa; per dirla con padre Enzo Fortunato, un’“intuizione profetica”; se vogliamo riannodare il nostro attaccamento alla vita dobbiamo tornare alle sorgenti, partire da loro e dai loro problemi, di cui non sospettiamo la portata.
Anche per effetto della guerra in Ucraina nella avanzatissima Europa oggi si registrano quasi 20 milioni (19,8) di bambini in condizioni di deprivazione materiale e sociale, per non parlare del resto del mondo: 663 milioni di bambini in povertà, di cui 385 milioni lottano per sopravvivere con meno di 1,90 dollari al giorno. Nel nostro Paese la situazione è molto più difficile di quanto crediamo: quella dei bambini e bambine è la fascia d’età più aggredita dalla povertà, in crescita a causa dell’impatto dell’inflazione sulle famiglie. A cominciare dai bambini che vivono in povertà assoluta, una percentuale superiore a quella dei poveri adulti (al 2022, ultimo dato disponibile, si registravano 1,27 milioni di minorenni in povertà assoluta, il 13,4 % del totale, la percentuale degli adulti poveri assoluti è 9,7 %.). Quasi un punto percentuale in più rispetto all’anno precedente. Con i relativi aggravamenti territoriali e un’incidenza decisamente superiore nelle famiglie monogenitoriali, in particolare se il genitore è donna.
Una situazione gravissima, ma non basta: i bambini in povertà relativa sono 2,2 milioni, pari al 23,5 % della popolazione minorile: 3.401.754 i bambini italiani che vivono in condizioni di povertà assoluta o relativa. Stime preliminari dell'Istat parlano per il 2023 di un ulteriore incremento. E le fragilità specifiche: 300.000 studenti e studentesse con disabilità; minorenni stranieri non accompagnati e minoranze sono 1.022.471. Un altro dato, forse il più allarmante: circa il 20 % della popolazione minorile è affetto da disturbi mentali. Il disagio dei bambini è la nuova normalità. Non siamo all’anno zero, ci sono piani di garanzia europei per l’infanzia e documenti ufficiali a protezione, ma tutto questo va calato nella realtà. Perché quello che è buono per i bambini è buono per tutti, collocare il loro benessere come orizzonte è garanzia di uno sviluppo sano. Riappropriamoci del nostro istinto più naturale, facciamolo in nome di Hinid, già dimenticata, piccola martire a Gaza, terrorizzata da un grosso, minaccioso carro armato, che fino all’ultimo ha creduto negli adulti continuando a chiederci di salvarla.
Elisa Manna
Avvenire, 5 maggio 2024