Nessuna sorpresa, stavolta, nella scelta dei testi letterari da analizzare per la prima prova scritta della nuova maturità: una poesia del primo Ungaretti, un brano tratto dal “Giorno della civetta” di Sciascia. Tutto secondo previsioni, come stabilito dalla normativa entrata in vigore quest’anno e nel solco delle simulazioni proposte dal Miur nei mesi scorsi. Insomma: niente da ridire.
Dove sta, allora, il problema? Il problema sta a monte, annoso e mai risolto: a scuola la letteratura del Novecento non si fa, o si fa poco, di corsa e col fiatone. Sfido chiunque a negare l’evidenza: salvo nobilissime eccezioni, il Novecento letterario continua ad essere, in buona parte, un secolo sostanzialmente sconosciuto.
Si ha un bel dire, a questo punto, che l’esame di Stato deve accertare le “competenze” dei maturandi e non le “ nozioni”: se mancano le indispensabili coordinate storico- culturali, è difficile pensare che uno studente possa “analizzare” e soprattutto “ interpretare” un testo novecentesco.
Fare il Novecento come si fa ora a scuola, a me pare, francamente, un delitto, privando gli studenti dell’opportunità, preziosa dal punto di vista formativo, di conoscere il mondo contemporaneo, attraverso i processi, le trasformazioni, le inquietudini e i miti che l’hanno generato. Fra l’altro, senza una consapevolezza di questo tipo anche i percorsi di educazione alla “cittadinanza”, che la scuola è chiamata a costruire, diventano velleitari, perché non hanno una coscienza critica su cui far presa.
Ma perché, nella pratica didattica, alla letteratura del Novecento viene riservato, in genere, uno spazio così esiguo e residuale? Due mi sembrano i motivi principali: una difficoltà oggettiva, inerente alla materia d’insegnamento e un limite soggettivo, che riguarda invece il corpo docente. Mi riferisco, da un lato, all’estensione della storia letteraria italiana, che è la più lunga e la più ricca di tutte le letterature moderne; dall’altro, alla scarsa dimestichezza di molti insegnanti con la letteratura contemporanea, che non hanno avuto modo di approfondire nel corso dei loro studi universitari.
Una soluzione, all’uno come all’altro di questi problemi, ci sarebbe e neanche tanto difficile da attuare. Mi permetto, perciò, di porre all’attenzione del ministro Bussetti due proposte di buon senso. La prima: cominciare in seconda superiore, anziché in terza, l’insegnamento sistematico della storia letteraria. Un timido passo in questa direzione è stato già fatto, nel2010, dalle “Indicazioni nazionali per i nuovi licei”, ma anticipare al secondo anno soltanto lo studio delle origini non basta. Spalmando, invece, il programma su quattro anni, si potrebbe riservare, finalmente, al Novecento l’intera quinta senza scapito per i secoli precedenti. Per assicurarsi, poi, che gli insegnanti di domani padroneggino adeguatamente le vicende letterarie del Novecento, c’è un modo solo, semplice ed efficace: prevedere nel loro curriculum, tra i requisiti disciplinari di accesso alle classi di abilitazione, almeno un esame di Letteratura contemporanea. Trovo, infatti, del tutto incomprensibile, alla luce della centralità del Novecento nell’esame di Stato, che un insegnamento cruciale come questo non figuri tra gli obblighi formativi dei futuri docenti d’Italiano: sarebbe come fare le nozze coi fichi secchi.
Giuseppe Langella
Coordinatore nazionale della “Mod per la Scuola” Università Cattolica del S. Cuore, Milano
Avvenire, 22 giugno 2019