Ci stiamo avvicinando a grandi passi, con tante pubblicazioni, mostre ed eventi annunciati, ma anche con quelle già in corso, verso il 7° centenario della morte di Dante (2021). Già oggi, grazie all’iniziativa promossa da Paolo Di Stefano del “Corriere della Sera”, sarà celebrato il “Dantedì”, e sarà di fatto l’avvio delle celebrazioni che, a settembre, avranno ufficialmente inizio con il grande concerto del maestro Muti a Ravenna, Firenze e Verona. Sarà certamente un centenario speciale, perché se c’è un classico speciale, questi è proprio Dante. La celebre definizione di Calvino che «un classico è un libro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire » ( Perché leggere i classici) è una verità che, applicata a Dante e in particolare alla Divina commedia, non potrebbe esprimere con maggiore profondità il senso della sua perenne novità: quella novità che pone Dante di diritto tra i classici che Giuseppe Pontiggia chiamava i “contemporanei del futuro”, aggiungendo che però «il problema non è se i classici sono attuali; il problema è se lo siamo noi rispetto a loro» ( I classici in prima persona): se siamo cioè capaci noi di essere loro contemporanei, perché i classici hanno una vita che perdura uguale a sé stessa, in ogni tempo. Siamo noi che cambiamo, nel senso che, nel leggere o rileggere i classici, essi non solo ci completano, ma ci modificano, anche se poi quando tentiamo di spiegare perché la loro lettura è per noi un’esperienza vitale – notava sempre Pontiggia (L’oggetto libro ‘97) – si finisce col convincere chi è già convinto.
Tornando a Dante, l’impressione, però, è che non siamo soltanto di fronte a un classico, ma, se così si può dire, a un insieme di classici, vale a dire un poeta unico, nel senso di quell’unicità che, se fosse applicata, supponiamo, a città come Roma o Venezia, Napoli o Palermo, Siena o Assisi, si direbbe composta non soltanto di bellezza, ma di un’inconfondibile magia: una magia di sensi, colori e vita che non si riesce compiutamente a definire e a descrivere, ma che c’è e si percepisce all’istante.
In realtà, l’eterno fascino di Dante lo si avverte anche dal fatto che molti ripetono con naturalezza a memoria i brani più celebri, e che ogni tan- to rinnovano il piacere di andarlo a rileggere, senza stancarsi, come accade alle persone e alle cose che sono diventate patrimonio della memoria e dell’anima. Perché appunto Dante ha il dono di quella magia, che tanti commentatori hanno sapientemente esplorato, ma che nessuno ha potuto esaurire, essendo Dante, come ogni grande classico, un infinito virtuale, per il quale si è rimandati continuamente al testo, inesauribile, e ai commenti dei tanti lettori che si sono succeduti nel tempo. E questo perché la lettura che ciascuno fa di Dante è sì dettata da quanto scienza, ragione e cuore suggeriscono a chi sta leggendo, ma – per prendere a prestito quanto scriveva Giovanni Macchia a proposito di Baudelaire – anche da una infinita successione di lettori imperfetti, che si creano, incessantemente, l’uno dall’altro. Entro una sostanziale intransigenza, i veri capolavori hanno una loro docilità: essi lasciano fare».
Così, un’opera come la Divina commedia ha tante vite; ogni lettore la vive dentro di sé in modo del tutto personale e in un certo senso la continua a modo suo. Al di là, però, di quello che uno sente individualmente, in modo diverso da altri, in ragione di quell’intimità segreta che si stabilisce da anima ad anima, ci sono valori ed elementi poetici e linguistici, religiosi e morali in cui tutti si riconoscono. A volerli riassumere in poche parole, si potrebbe riprendere quanto il grande critico Natalino Sapegno disse nel 1967 alla Yale University fissando le tappe evolutive della formazione del poema, e cioè ricordando che la grandiosa concezione profetica, sistematica e organica, del mondo e una altrettanto grandiosa quanto geniale invenzione poetica del viaggio nell’aldilà hanno consentito a Dante di dare un giudizio autorevole sull’effimera e decaduta realtà del suo tempo e di confrontarla con la realtà ordinata e perfetta dell’eterno fondato in Dio. Per la ricchezza e la forza della sua poesia, Dante ha infatti congiunto i due mondi e, attraverso di essi, ha trasmesso i valori fondativi di una società nuova, che non vuol vivere di cupidigia, arbitrio e violenza, bensì di amore, giustizia e pace.
Il centenario dantesco è un’occasione offerta a tutti per ritrovare un poeta e un maestro, più vicino e vivo che mai.
Giuliano Vigini
Avvenire, 25 marzo 2020